Uno dei rappresentanti più longevi della generazione Atreju arriva da Catania. Non si tratta di Nello Musumeci, che da qualche anno ha deciso di tagliare i ponti con Fratelli d’Italia e i partiti della destra (ha fondato, infatti, un suo movimento). Bensì il suo vecchio amico Raffaele Stancanelli, con cui, invece, ha interrotto le comunicazioni qualche mese fa, alla vigilia delle elezioni che hanno visto Diventerà Bellissima accomodarsi in tribuna. Mentre l’ex sindaco di Catania, nonostante un seggio al Senato, è sceso in campo e s’è guadagnato il posto all’Europarlamento, dove siede assieme a quattro colleghi di FdI nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr).

Assieme a loro, e ai colleghi spagnoli e olandesi, sabato sera ha partecipato un dibattito a Villa Tiberina (Roma), dove si è tenuta la ventiduesima edizione di Atreju, la grande festa della destra italiana che oggi è incarnata da Giorgia Meloni. Stancanelli snocciola numeri come il miglior cronista: “E’ stata tra le edizioni più importanti e partecipate. Per la prima volta erano presenti due premier (Conte e l’ungherese Orban), 25 mila visitatori, 400 giornalisti accreditati e non so quante centinaia di relatori. E tutto lo schieramento politico italiano, per dimostrare che la destra è aperta al dialogo con chiunque. Chi è forte delle proprie idee non ha paura di confrontarsi con gli altri”.

C’era anche Giuseppe Conte, nonostante Fratelli d’Italia sia uno dei maggiori oppositori del governo giallorosso.

“E’ una forma di rispetto istituzionale per la figura del presidente del Consiglio italiano, pur in presenza di una contrapposizione forte come ha sottolineato la Meloni nel suo intervento di chiusura”.

Ma invitare Orban è stata oppure no una scelta discutibile? Renzi ha detto che quelli di Fratelli d’Italia sono sì patrioti. Ma ungheresi.

“Ognuno è patriota in casa propria. Pur appartenendo a un altro schieramento politico, con il premier ungherese abbiamo dei valori in comune. Orban ha spiegato che la loro costituzione si fonda su tre pilastri: la famiglia, il senso della nazione – quello che noi chiamiamo patria – e il sentimento religioso, che per noi equivale a Dio e al cristianesimo. Il suo intervento ha suscitato applausi a scena aperta, soprattutto per il riferimento alla canzone “Avanti ragazzi di Buda”, che fu scritta in Italia, da autori di destra, a sostegno dei ragazzi combattevano la rivoluzione nel ’56 contro i sovietici”.

Lei ha partecipato a un seminario con gli altri eurodeputati.

“E, assieme ai colleghi dell’Ecr, ho evidenziato come i tre concetti che le accennavo prima sono la carne viva che ci unisce in un unico gruppo politico”.

Ma con la fuoriuscita della Lega dal governo, le posizioni sovraniste – che voi esprimete nell’Ue – non rischiano di finire isolate? L’Europa ha trovato degli equilibri diversi. Quella di Fratelli d’Italia può diventare una battaglia coi mulini a vento?

“Non sono affatto d’accordo. Se uno crede in qualcosa, porta avanti le proprie idee. Le battaglie non si basano sul presupposto di essere o meno maggioranza. Questo ha portato a un fenomeno tipicamente italiano come quello dei “cambiacasacca”.  L’isolamento, come lo chiama lei, è la nostra forza. Rappresentiamo la volontà di una crescente fetta del popolo italiano, che guarda con simpatia alla nostra coerenza. Siamo l’unico partito che è rimasto coerente col mandato degli elettori. Tutti parlano di coalizione, ma la Meloni è stata chiara…”.

Proprio da Atreju ha rilanciato la clausola anti-inciucio.

“Va sottoscritto un accordo in cui si stabilisce che non si fanno coalizioni diverse rispetto a quelle con cui ci si presenta agli elettori. Sa qual è stata la debolezza del centrodestra italiano? Che alla fine la Lega, dopo essersi presentata in coalizione con noi e Forza Italia, si è accordata coi Cinque Stelle, e molte voci in Forza Italia parlano di un possibile accordo con ali più o meno centriste del centrosinistra. Queste cose gli elettori non le capiscono. E comunque noi non corriamo alcun rischio isolamento: l’importante è essere portavoce autentici di chi ci vota”.

Crede che essere opposizione dello stesso governo, quello giallorosso, basti al centrodestra per ricostruire un’identità? O serve un cambio di passo, e magari qualche rinuncia da parte di qualcuno?

“Le due cose non sono alternative. Si deve partire da una grande, vera opposizione al governo giallorosso, senza sostegni sottobanco. Ma allo stesso tempo ci vuole un cambio di passo, e i motivi sono oggettivi. Fino a 3-4 anni fa il centrodestra si basava sulla centralità di Forza Italia perché era il partito più grande, quasi egemone, grazie alla leadership di Berlusconi. Gioco forza, rappresentava il centro della coalizione. Poi c’era la destra di Fratelli d’Italia e la forza regionalista, localista, della Lega. Oggi le cose sono cambiate: Forza Italia, stando ai sondaggi, è diventato il terzo partito, la Lega è di gran lunga il primo, ma FdI ha superato il quorum alle Europee, ha raggiunto il 6,5% e ora ci accreditano dell’8-10%. E’ chiaro che siamo la seconda forza”.

E in cosa consiste il cambio di passo?

“Va tenuto conto del fatto che c’è uno spostamento dell’opinione pubblica sulle posizioni più coerenti che sono le nostre. La Lega ha un ruolo importante, rappresentativo di alcuni territori, di amministratori locali e presidenti di Regioni, di interessi precisi. Secondo me, ha rappresentato anche la protesta nel Mezzogiorno. Ma sono convinto che da qui a qualche tempo ci sarà un riequilibrio delle forze, e Fratelli d’Italia si appresta a diventare il punto di riferimento del centrodestra. Che parte da destra, come ovvio, ma si allarga a tanti settori che sono orfani di classe dirigente e di riferimenti politici, e che guardano con simpatia al nostro partito e alla sua leader”.

Non per rigirare il coltello nella piaga, ma a noi questo progetto pare già monco. Miccichè, di ritorno da Arcore, ha detto che in Forza Italia ha vinto la sua linea e la coalizione di centrodestra non finirà schiacciata su posizioni sovraniste.

“Miccichè fa il suo dovere. E’ un uomo di Forza Italia e legittimamente aspira a consolidare il suo ruolo. Gianfranco è una persona intelligente, ma questa sua posizione tenta di eludere il problema. Perché in effetti, gli osservatori dicono che Forza Italia è in sofferenza per le crisi interne, per l’abbandono di Toti e per la battaglia per la leadership. Ma Micciché viene da un successo elettorale alle Europee in Sicilia e non può non dire quello che ha detto”.

Crede che la Sicilia, nell’agenda di governo giallorosso, finisca relegata a posizioni marginali?

“Di questo sono assolutamente convinto. Questo governo è nato a Bruxelles con l’elezione della presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. A partire da interessi franco-tedeschi e su impulso di Macron e della Merkel. Questi che interesse potrebbero avere per il Meridione d’Italia? Nessuno. Sono convinto che siamo soltanto il loro mercatino. Lo si vede, ad esempio, nelle piccole e grandi battaglie che conduciamo in Europa sull’agricoltura e sulla pesca. Sono preoccupato di questa deriva anti-meridionale che il governo giallorosso, fatalmente, si porterà dietro”.

Venendo alla Sicilia. Musumeci non ha fatto mistero che un buon modo per venir fuori dall’impasse politica in cui si è cacciata Diventerà Bellissima, possa essere un nuovo soggetto meridionalista, una sorta di partito della Regione. Sono maturi i tempi?

“Rischia di non avere alcun significato se non si inquadra in un’altra dimensione, quella dell’unità nazionale. Non c’è coesione se non si dà priorità alle ragioni del Mezzogiorno, che sono essenzialmente quelle del lavoro e delle specificità da valorizzare. E se parliamo alla Sicilia mi vengono in mente la cultura, l’agricoltura, il turismo. Settori che, se puntualmente sostenuti, potrebbero essere il volano della nostra economia”.

Se butta ancora un occhio alla politica regionale, si sarà accorto che la Regione è impantanata da dieci mesi su questioni contabili. E che l’alleanza di governo continua a scricchiolare. Non sarebbe meglio tirare una riga su questa esperienza e pensare al futuro?

“E’ ancora presto, anzi prestissimo per fare dei bilanci. Il governo di centrodestra si è trovato a gestire una grossa e brutta eredità politica e amministrativa. Io non butterei la croce addosso a nessuno, anche se è chiaro che nell’opinione pubblica si sente il bisogno di una maggiore presenza anche dal punto di vista comunicativo. Attenzione, però: se passa un altro anno, o due, non si potrà continuare a dire che la colpa è sempre di chi c’era prima. Ma senza dubbio l’eredità di Crocetta è pesante e sta incidendo sulla capacità di azione di questo governo”.