Non c’è traccia di bel cinema a Venezia. Anche se la giornata di ieri ha incoronato Chiara Ferragni regina del red carpet. E’ arrivata col marito, il cantante Fedez, laccato di biondo. Ed è senz’altro fra i protagonisti più attesi di una rassegna un po’ svampita a livello cinematografico. Sì, mettendo da parte i lustrini, i travestimenti (come quello sfoderato da Ludovica Pagani) e le storie su Instagram, i film dicono poco. Quello della Ferragni, la influencer più nota d’Italia – che la rivista Forbes, un paio d’anni fa, aveva già inserito fra i giovani imprenditori più noti (e ricchi) del pianeta – si chiama “Chiara Ferragni-Unposted”. E’ un documentario affidato alla sapiente regia di Elisa Amoruso. La Ferragni, che lasciato Cremona per abbracciare il mondo, si porta dietro difettuccio di provincialismo, ma ci risparmia – come spiega Mariarosa Mancuso su “Il Foglio” – il putto di ghiaccio che, al rinfresco del suo matrimonio con Fedez, celebratolo scorso anno a Noto, pisciava vodka.
La vera sfida è il botteghino (nelle sale dal 17 al 19 settembre). E capire – dato che la vita di Ferragni, grazie ai social, è arcinota ai più – se i followers potranno arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Roba non scontata. Ferragni a parte, come rimarca bene la Mancuso nel suo pensiero di oggi, “sono arrivati i film che temevamo, diretti dai soliti noti che non si riescono a cacciare neppure dal Lido, mica solo da Cannes”. E punta il dito contro “The guest of honor” di Atom Egoyan, sul melodramma “Wasp Network”, definito “filo-castrista”, di Olivier Assayas, su “About Endlessness” dello svedese Roy Anderson. Unica nota lieta l’esperimento di ritmo e recitazione di Mario Martone, che adatta Eduardo De Filippo ne “Il sindaco del rione Sanità”. Mentre “The Painted Bird” (del regista ceco Václav Marhoul), scrive la Mancuso, “ha concentrato in un solo film tutte le torture che di solito i festivalieri subiscono in dieci giorni. Bulbi oculari scavati con il cucchiaio, stupro con bottiglia rotta, torture di ogni ordine e grado ai danni di un ragazzino ebreo, nella Polonia del 1939 tra nazisti e russi”. Poteva andare decisamente meglio.