Un bel ghigno e passa tutto. Li immaginiamo i deputati siciliani nel bel mezzo della crisi (romana): “Minchia, si torna a votare”. Ci si scambia i messaggi sotto l’ombrellone, si abbozzano le prime strategie. Non mancheranno i risolini: all’Ars si resiste da quasi due anni senza maggioranza, mentre a Montecitorio hanno mandato tutto all’aria nonostante un consenso bulgaro. Valla a capire la politica. Gli onorevoli più fortunati, armati di lettino e olio abbronzante, si staranno godendo la spiaggia da almeno una settimana: il presidente dell’Ars Micciché ha mandato tutti in ferie il 31 luglio, all’indomani di un’infinita sessione di Bilancio che riprenderà a settembre, il 2. Qualcuno del governo fa ancora i conti con le Zone economiche speciali e con le visite istituzionali (Musumeci è impegnato nel tour delle isole minori e nelle interviste anti-piromani) prima di godersi il mare a Ferragosto.
Tutti beati, tranne (forse) i grillini. In costante contatto con Roma, per sfornare comunicati a tinchité: quello che va più di moda, in queste ore, è il retweet frenetico del messaggio di Giuseppe Conte, nel tentativo (mal riuscito) di difendere a spada tratta il suo governo e mettere Salvini alle corde. In bocca al lupo. Al ministro dell’Interno, pronto a capitalizzare l’investimento di questi mesi, basterà scendere domenica nell’Isola – in programma tre appuntamenti da mattina a sera a Siracusa, Catania e Taormina – per far passare in secondo piano, o forse in terzo, l’ardua missione dei deputati a Cinque Stelle, Cancelleri e Di Paola, che proprio domenica dovrebbero giungere nella Perla dello Ionio dopo aver percorso la Sicilia in treno. Una faticaccia. Lo hanno fatto per denunciare due cose: 1) la carenza delle ferrovie (sai che novità…); 2) l’inconcludenza leghista sul tema delle infrastrutture che contano. Doveva essere una dimostrazione anti-Tav, ma il tema è già “vecchio” date le ultime piroette romane. L’obiettivo dei Cinque Stelle, adesso, è ricomporre le truppe e dare il via alla missione impossibile: cercare di confermare la vittoria schiacciante del 4 marzo 2018, quando si aggiudicarono i 28 collegi uninominali e, in generale, portarono a casa 53 dei 77 seggi in palio nell’Isola (ma i candidati erano 49 e non riuscirono a coprirli tutti).
Alle ultime Europee il M5s ha perso quota, passando dal 48% a poco più del 30%. Eppure la Sicilia è ancora un fortino di Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri nonostante le delusioni di Termini Imerese, i rinvii sulla Ragusa-Catania, l’interruzione dei lavori nei cantieri delle CMC, lo schiaffo al governo regionale sulla spalmatura del maxi disavanzo con lo Stato e sui soldi per le ex province in pre-dissesto. Sarà una battaglia all’ultima promessa. Ma è vera anche un’altra cosa: gli ex cugini leghisti, nell’Isola, non hanno ancora la forza per correre da soli e sbaragliare la concorrenza. All’ultimo valzer pescarono il 20%, un risultato dirompente per la tradizione di un popolo, ma ancora un filino sotto le ambizioni di Salvini. Che, pertanto, non potrà fare a meno di allearsi.
A questo punto tornerà di moda, in modo prepotente, l’asse con Musumeci che il leader della Lega, negli ultimi mesi, ha deciso di snobbare. “Pensi a fare il governatore” era stato il commento a margine dell’inaugurazione del commissariato di Caltagirone, dopo che il presidente della Regione aveva lanciato l’offensiva all’Ars (con Ora Sicilia) sbagliando però il comandante dell’esercito (Luigi Genovese): “Ci penso io a far vincere Salvini” aveva sussurrato Musumeci, auspicando la rottura coi Cinque Stelle, che finalmente si è materializzata. La puzza sotto il naso del “capitano” (vera o presunta) sarà spazzata via dall’incedere – oddio, troppa grazia – delle truppe cammellate di Giovanni Toti. Il suo movimento “Cambiamo” – alcuni istituti demoscopici fanno credere al governatore ligure di avere fra il 3 e il 7% nei sondaggi – è stato lanciato nei giorni scorsi, dopo la rottura con Berlusconi e Forza Italia. Troppo facile immaginare una fusione con Diventerà Bellissima, per la creazione di quella che in Sicilia sarebbe la terza gamba del centrodestra a trazione sovranista (la seconda resta Fratelli d’Italia della Meloni, capace di consolidarsi nell’Isola).
Se alla fine Salvini dovesse rinsavire dalle logiche megalomani di queste ore – ha chiesto agli italiani pieni poteri e accennato al fatto di correre da solo e da candidato premier – anche Forza Italia, o quel che ne rimane, potrebbe essere della partita. Qualche tempo fa lo disse Miccichè, che di Salvini non è propriamente amico: “In questa fase bisogna fare buon viso a cattivo gioco. Se si andasse a elezioni anticipate, l’alleanza con la Lega è l’unica possibile”. A meno che – ma questo dipende prettamente da Berlusconi – non si decida di avviare in fretta e furia il progetto de “L’altra Italia”, a patto di trovare compagni fedeli e moderati. A scanso di equivoci, non basta l’Udc di Cesa o il Cantiere Popolare di Romano. Servirebbe Matteo Renzi, come ha immaginato un vecchio volpone di nome Totò Cuffaro nell’intervista dell’altro ieri a Buttanissima. Renzi e tutta una serie di cespugli, da far convergere al centro per rilanciare uno spazio di matrice europeista, nel mito della Democrazia Cristiana. Un progetto impensabile nel breve termine. Col “Rosatellum”, però, vince chi si allea. Senza Lega, anche per Forza Italia, che in Sicilia qualcosa conta, sarebbe la fine.
Anche il Partito Democratico, che in queste ore gioca a scambiarsi messaggini coi Cinque Stelle, preferirebbe una stagione di riforme (ma il taglio dei 345 parlamentari difficilmente si farà) a una tornata elettorale che gli dà pochissime chance di tornare a governare. In Sicilia, come altrove, è nettissima la spaccatura fra l’area di sinistra – qui c’è pure un commissario nominato da Zingaretti e Franceschini – e quella rottamatrice dei renziani. Che da un lato promettono fedeltà assoluta, dall’altro potrebbero utilizzare la Leopolda, nel mese di ottobre, per sancire la nascita di una nuova creatura e la liquefazione del Pd come siamo abituati a conoscerlo. Spaccato e rissoso. In Sicilia la scissione è già nei fatti, con l’ex segretario regionale Faraone che ha restituito la tessera dopo il commissariamento imposto dal Nazareno. Ecco, in questa logica sarebbe più facile organizzare le liste rispetto alle ultime Politiche, in cui sono state motivo di caos.
E’ uno scenario incerto, da discorsi sotto l’ombrellone (un po’ come il calciomercato), in attesa che torni a riunirsi l’Assemblea regionale e che i soldati tornino ai posti di comando. A quel punto, come successo già per le Europee, i temi della campagna elettorale subentreranno agli interessi veri di un’Isola martoriata. Ma non fasciamoci la testa, Sicilia bedda. Stavolta, magari, sarà diverso.