“Il regionalismo differenziato è un’innovazione sul piano costituzionale. Un’esperienza senza precedenti. E come avviene in questi casi suscita perplessità, diffidenze e timori. Per questo noi Regioni del Sud riteniamo che la questione non possa essere legata e circoscritta alle tre regioni che ne hanno fatto formale richiesta”. Nello Musumeci ha chiesto al premier Conte un allargamento del campo da gioco. La devolution leghista preoccupa. Preoccupa perché non è ancora chiaro cosa preveda, né quanto possa costare al Sud, in termini di risorse, una trattenuta consistente del gettito da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, il cui contributo alla finanza è dato – dai sondaggi di palazzo Chigi – in diminuzione. L’unico argine alla ricetta di Salvini è il Movimento 5 Stelle.

Nei giorni scorsi il ministro Di Maio, che al Sud ha costruito le proprie fortune elettorali, ha istituito un Osservatorio per la riscrittura della riforma dell’autonomia differenziata (scatenando il putiferio tra gli alleati di governo). E anche i grillini siciliani puntano i piedi: “Le richieste di Musumeci – spiega Elena Pagana, la giovane deputata del Movimento – non sono solo farina del suo sacco. Con un ordine del giorno, l’assemblea ha impegnato il governo regionale a chiedere a quello nazionale, preventivamente all’intesa fra le regioni, che siano definiti i livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato deve garantire. Lo dice la Costituzione, non il M5s. I diritti civili e sociali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. E’ il primo punto del nostro odg. Poi c’è la perequazione infrastrutturale”.

A proposito di infrastrutture. Il gap con resto del Paese è evidente, ma anche l’atteggiamento dei Cinque Stelle appare enigmatico. La Lega sostiene che bloccate il Paese.

“Quello che sta facendo per la Sicilia Toninelli, che è un ministro del Nord, non l’ha mai fatto nessuno in trent’anni. Grazie alla norma “sblocca cantieri” abbiamo riportato al centro dell’attenzione le strade provinciali, che sono la maggiore infrastruttura dell’Isola, e abbiamo istituito la figura di un commissario straordinario. Sa che per arrivare a Troina bisogna farsi il segno della croce? Se essere contro il Tav vuol dire andare contro un’opera inutile, allora sì, siamo orgogliosamente contro le opere inutili”.

Lei è una grande attivista sul tema del regionalismo differenziato. Cosa la preoccupa?

“L’articolo 116 della Costituzione prevede che possano essere direttamente le Regioni a chiedere più autonomia. Ma il riparto di competenze non può ledere i principi costituzionali, sia dal punto di vista economico che democratico. La Repubblica è una e indivisibile. Portando il concetto agli estremi, nelle scuole del Nord  potrebbe succedere di non studiare gli autori del Sud… Questa del regionalismo può diventare un’arma molto pericolosa. Anche i costituzionalisti che abbiamo interpellato in commissione Statuto, all’Ars, hanno evidenziato molte ombre, soprattutto nella prima fase delle trattative. Il Movimento 5 Stelle sarà inflessibile. La ministra Barbara Lezzi, che fin qui si è rivelata la paladina del Mezzogiorno, ci ha messo la faccia per ribadire ciò che è giusto”.

Cosa è giusto e cosa non lo è, secondo voi?

“Partiamo dal presupposto è il Nord è più ricco del Sud e che negli ultimi venticinque anni il Nord ha continuato ad arricchirsi, e il Sud a impoverirsi. Se il Nord smettesse di contribuire alla finanza dello Stato – stiamo parlando della prospettiva peggiore – potrebbe influire in modo drammatico sullo sviluppo del Meridione. Ma è anche vero che noi siciliani dobbiamo uscire da questo schema. Oltre a essere la regione più grande del Meridione, la Sicilia è dotata di una propria autonomia e dovrebbe essere la capofila in questa discussione sul regionalismo differenziato”.

Ma l’atteggiamento rivendicazionista è nullo senza un piano di sviluppo.

“Il gap infrastrutturale è sotto gli occhi di tutti. Al Sud si trova il maggior numero dei comuni in dissesto e in pre-dissesto, ma la colpa non può ricadere soltanto sui nostri amministratori. La più grande incompiuta fra le opere siciliane, però, è lo Statuto”.

Anche Musumeci rivendica la sua piena attuazione. Esiste un modo?

“Intanto bisogna fare una ricognizione – e su questo abbiamo impegnato il governo – per capire come sia stato applicato lo Statuto e quali vantaggi abbia ricevuto la Sicilia dalla sua applicazione. Alcuni sostengono che serva soltanto a mantenere dei privilegi: beh, io a questo gioco non ci sto. Non voglio abbassare la testa e voglio combattere da dentro questi abusi. E’ grazie allo Statuto che è stata introdotta l’elezione dei sindaci, per cui qualcosa di buono è stato fatto. Non vedo perché non si possa ottenere qualcosa di positivo anche in tutte le altre materie per cui è prevista la sovranità. Penso all’articolo 14 sulle competenze. E in particolare al rilancio dell’agricoltura. Ma lì dipende tutto dalla visione strategica”.

Si spieghi.

“In Italia non esistono regioni che abbiano un’agricoltura con le nostre caratteristiche. Potremmo avere un sistema di gestione di alcuni prodotti, che va dalla lavorazione alla certificazione, esclusivamente siciliana. Come per il grano. Ma perché questo possa avvenire, serve una forte volontà politica”.

Occorre valorizzare meglio le nostre specificità?

“Partire dalla consapevolezza che esistono delle specificità siciliane, è già un passo avanti. Un aspetto che negli ultimi anni è mancato. Abbiamo presentato un disegno di legge per mettere nei distributori automatici di uffici, scuole e ospedali la spremuta d’arancia siciliana, anziché cibi grassi o bibite troppo zuccherate. In questo modo andremo incontro anche ai nostri agricoltori”.

Una nave canadese è arrivata al porto di Pozzallo con 19 mila tonnellate di grano a bordo. Lei è stata in banchina per seguire la situazione da vicino. Perché?

“Abbiamo voluto preservare la salute dei siciliani. Quando è arrivata la nave abbiamo allertato il ministro Giulia Grillo e fatto predisporre i controlli e le analisi necessarie. Siamo in attesa dei risultati. Quello che chiediamo a gran voce è che anche in Sicilia venga istituito un laboratorio accreditato e certificato che riesca ad analizzare i pesticidi in generale e il glifosato in particolare. Ma c’è un altro problema di fondo…”.

Quale?

“La Sicilia è stato il granaio d’Italia, ma oggi il grano prodotto non basta più. C’è stato lo spopolamento delle campagne, l’abbassamento dei prezzi. Gli agricoltori hanno abbandonato la terra e smesso di coltivare il grano perché non conveniva più, avvantaggiando le grandi multinazionali. Questo fa rabbia”.