Immaginare di riunire il Pd con la creazione di un nuovo “spazio politico” – come hanno fatto ieri all’Ars alcuni deputati regionali, fra cui l’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale – appare un tentativo audace, se non addirittura velleitario. Ma un senso ce l’ha: è l’interventismo in sé. Cercare di fare qualcosa e non starsene con le mani in mano, mentre fulmini e saette destabilizzano ciò che rimane del Partito Democratico. Consumato dalla tensione e dagli scontri, capace di trasformare uno dei maggiori strumenti di democrazia – le primarie – in un atto di guerra; e di rimarginare le ferite con la “cacciata” del segretario in carica, Davide Faraone, per effetto di una votazione nelle segrete stanze del Nazareno. Una procedura regolamentare che in molti, però, hanno inteso come un regolamento di conti interno. E meramente politico.
In questo caos, si è consumata l’ultima mossa a sorpresa: Dipasquale, assieme ai colleghi deputati Catanzaro, Arancio e Gucciardi – che un giorno sostenevano Faraone e l’altro Zingaretti – si sono intestati un’iniziativa per la ricostruzione del Pd dall’interno, magari senza piccone. Cercando di superare le correnti e remare nella stessa direzione, uniti. Ripartendo dai territori. E’ questo l’unico punto all’ordine del giorno di Dipasquale e soci, che di fregiano dell’appellativo di “pontieri”: “Le questioni inerenti il gruppo parlamentare e il partito devono essere affrontate in maniera scollegata rispetto alle logiche correntizie, viceversa si rischia il caos e ulteriori divisioni e spaccature” ha detto l’ex sindaco. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi.
Soprattutto per la fase storica che attraversa il Pd siciliano. Faraone, assieme ai suoi seguaci, ha tagliato la corda il giorno dopo che la commissione nazionale di garanzia ha scelto di commissariarlo. Restituendo la tessera al “paparino” Zingaretti, col quale i rapporti si erano distesi per causa di forza maggiore (le elezioni Europee) negli ultimi mesi. Ha restituito la tessera e lanciato strali: “Mi hanno fatto fuori perché costituivo un argine ai tentativi di dialogo col Movimento 5 Stelle”. E ha trovato un alleato fortissimo in Matteo Renzi, che nel corso di un’intervista rilasciata a “La Sicilia”, non ha nascosto l’indignazione per il provvedimento che ha colpito l’amico: “Prendo atto che adesso Davide è fuori dal Pd. Spero che chi di dovere affronti il tema, altrimenti sarebbe l’inizio di una lenta emorragia. Poi se vogliono tenersi la ditta ce ne faremo una ragione”.
Il concetto della “ditta” torna nelle parole dell’ex presidente del Consiglio, ma è sempre appartenuto al dizionario dei renziani siculi. E’ con la parola “ditta” o “padroni delle tessere” che Davide Faraone ha fatto riferimento ai sostenitori di Nicola Zingaretti, gli stessi che all’ultimo congresso regionale si erano rifugiati sull’Aventino con Teresa Piccione. Della “ditta” fanno parte i suoi avversari: da Giuseppe Lupo, capogruppo del Pd all’Assemblea regionale, ad Antonello Cracolici, ex assessore del governo Crocetta; passando per Beppe Lumia e Mirello Crisafulli, presi di mira dall’ex segretario regionale durante la conferenza stampa di commiato. La vecchia guardia, insomma. Che fra le priorità ha sempre indicato il tesseramento e i congressi provinciali, anziché i tour nelle discariche non bonificate, le marce sulla Ragusa-Catania o le visite a bordo della Sea Watch.
Esiste un confine marcato, una distanza netta sotto il profilo generazionale. Da un lato i “rottamatori”, dall’altro i decani. Nelle ultime ore Antonio Rubino, ex vice-segretario, anche lui decaduto con Faraone, ha lanciato un messaggio a Giuseppe Lupo, che nel frattempo era tornato a parlare di unità e chiesto all’ex leader di riprendersi la tessera: “L’invito all’unità dell’onorevole Lupo sarebbe un fatto positivo se non fosse lui stesso l’elemento più profondo di divisione – ha attaccato il portavoce dei partigiani – Se vuole davvero dare una mano ed aiutare il Pd a ritrovarsi può fare una cosa sola: dimettersi”. Lupo era finito nel mirino di alcuni deputati mesi fa, quando da presidente del gruppo parlamentare – incarico di per sé terzo – aveva deciso di sostenere la Piccione al congresso.
Tra le differenze che rendono impossibile la convivenza nel nuovo Pd, c’è anche la predisposizione e l’apertura nei confronti dei Cinque Stelle. E se è vero come è vero che i grillini non ne vogliono sentir parlare, da parte di Lupo e Franceschini – quelli di Areadem – sono arrivati parecchi messaggi in codice per il partito di Di Maio. Più per spaccare il fronte con la Lega, che non per farselo amico. Un atteggiamento irritante che Renzi e Faraone hanno respinto sul nascere e che solo adesso Lupo & company sembrano aver preso con le pinze, dopo l’enfasi iniziale. “Con il M5s – è stata l’ultima dichiarazione del capogruppo – non c’è alcuna intesa, è comunque normale che le opposizioni si parlino e votino contro il governo Musumeci”. Da Areadem proviene anche Alberto Losacco, il nuovo commissario regionale catapultato a Palermo da Brindisi, che avrà il compito di ricomporre le macerie e trascinare il partito a un nuovo appuntamento congressuale. Due sere fa ha incontrato per la prima volta i deputati regionali e il percorso si preannuncia in salita.
Sembra una Guernica. Ecco perché l’unico tentativo di rimettere ordine, dando (magari) l’impressione di una ulteriore frammentazione, ma senza tirare in ballo alleanze (per ora) con il Movimento 5 Stelle, è quello che proviene dal nuovo “spazio politico” di Gucciardi e Dipasquale. Dai “pontieri”. Si sganciano (una volta per tutte?) da Renzi e Faraone, promettono fedeltà a Zingaretti, ma in Sicilia non hanno individuato il loro dio: “Ritengo sia importante che Davide ritiri l’autosospensione e partecipi alla vita del partito – ha detto Nello Dipasquale – Ognuno deve dare il proprio contributo alla crescita e al rilancio del Pd”. Sulla richiesta di Rubino, che ha chiesto le dimissioni di Lupo, “non voglio entrare nel merito. Oggi non servono divisioni, ma sintesi”. Su Losacco: “Gli diamo il benvenuto. Per noi è il commissario, non di una componente, ma di tutto il partito e siamo sicuri riuscirà a interpretare questo ruolo. Troverà la nostra collaborazione”.
Nella galassia di questo Pd “tripartito”, si è palesato anche Luca Sammartino, che in un’intervista a Live Sicilia ha messo nel mirino il segretario Nicola Zingaretti: “Sta provando a ricostruire il partito con le solite persone, ormai scadute politicamente, usando i metodi della vecchia ditta. In Sicilia si sta fidando di chi ha portato il Pd al disastro, alle macerie, solo ed esclusivamente per il proprio narcisismo”. Mr. Preferenze (32 mila voti alle ultime Regionali), dopo aver ammiccato a un nuovo campo dei moderati con Miccichè, osserva la partita da spettatore. Sapendo, comunque, di dover giocare la prossima mano. Ci sono, poi, Giovanni Cafeo e Franco De Domenico, i deputati meno altisonanti, che si mischiavano tra i giornalisti mentre parlava Dipasquale. E Leoluca Orlando. Già, il professore Orlando. Dopo aver siglato un patto con Renzi e Faraone e preso la tessera dopo la sua elezione a sindaco di Palermo, è sparito dai radar. Si è defilato per il congresso, non ha quasi mai partecipato alla vita del partito. Una protagonista nato, che stavolta ha scelto di starsene in disparte.