L’ultimo contatto ufficiale risale al 12 luglio scorso, giornata in cui la Corte Federale ratificò l’esclusione del Palermo dal campionato di Serie B. Al telefono, con un collega del Giornale di Sicilia, Salvatore Tuttolomondo rivelò le sue intenzioni bellicose: “Proseguiamo con i ricorsi nei successivi gradi e, da ultimo, in sede amministrativa. Attendiamo l’ufficialità del provvedimento non ancora sin’ora notificato, per opportune valutazioni e motivi”. Smangiucchiando le parole, con fare deciso e (in)equivocabile, annunciava una lunga battaglia giudiziaria per dare al Palermo non solo un futuro, ma la possibilità di tornare in campo nella serie cadetta. E’ la locuzione che si porterà dietro per sempre: Serie B. L’ha pronunciata dal primo giorno in cui mise piede al “Barbera”, alla vigilia di maggio, in tempo per il closing. E l’ultima che spiccicò in un messaggio audio-video, il 3 luglio scorso, parlando ai tifosi del Palermo, in quello che era diventato l’unico modo per comunicare: “Voglio rassicurarvi sull’iscrizione del club al prossimo campionato di Serie B”, disse da un ufficio romano dove si riparò da eremita per sfuggire al linciaggio del popolo rosanero. Un bluff, l’ennesimo.
Nella notte fra il 24 e il 25 giugno, termine ultimo per l’iscrizione al campionato, il Palermo avrebbe dovuto consegnare alla Lega di Serie B i documenti perfettamente in regola, dimostrando di aver saldato le pendenze coi giocatori più i debiti sportivi, e di aver ottenuto una garanzia fidejussoria da parte di una compagnia assicuratrice (per l’ammontare di circa 800 mila euro). Non lo fece. Fu la notte dell’ultimo raggiro. Non ai Tuttolomondo, che pure continuano a sostenere la tesi del complotto da parte di “una cabina di regia” non meglio precisata. Ma ai tifosi del Palermo, pochi ma sentimentali, che attendevano il verdetto di fronte alla Favorita. All’arrivo della fumata nera cominciarono a fare un po’ di casino, urlando tutta la loro indignazione. Scoprirono l’ultimo stadio della presa in giro, da parte di pseudo-imprenditori che non sapevano nulla di calcio e di Palermo, e trovati a banchettare sui resti del cadavere. Un affronto. In quel momento i Tuttolomondo – oltre a Salvatore esiste pure Walter, proprietario di Arkus Network e con un ruolo da consigliere in società – fecero le valigie destinazione Roma. Ufficialmente per seguire da vicino i ricorsi. Notoriamente per non sottoporsi alle pressioni di un ambiente inviperito.
L’U.S. Città di Palermo, risollevato dalle ceneri di un fallimento nel 1987, è morto la notte del 24 giugno. La società, da qualche parte, esiste ancora, assieme ai suoi legittimi proprietari. Ma non è più in grado di funzionare regolarmente. I libri finiranno presto in tribunale. La Procura di Palermo, esattamente dieci giorni fa, ha presentato istanza di fallimento. I magistrati diretti da Francesco Lo Voi hanno deciso di procedere per far dichiarare l’insolvenza dell’azienda decotta. La richiesta è stata avanzata al tribunale fallimentare, che avrà qualche settimana per convocare un’udienza e dichiarare chiusa una stagione entusiasmante (specie nei primi anni di Zamparini) e infine disgraziata. La Figc c’ha messo il carico, svincolando d’autorità i calciatori della passata gestione, da capitan Bellusci a bomber Nestorovski. Sono liberi di accasarsi dove gli pare. Quel Palermo lì, è una scatola vuota.
Eppure, stando ai Tuttolomondo, non è ancora detta l’ultima parola. In attesa di sapere che fine abbiano fatto gli artefici di questa vergognosa messinscena, risuona l’ultimo guanto della sfida: “Ricorreremo in tutte le sedi”. La prima se la sono fatta fuori: anche il collegio di garanzia del Coni, infatti, ha ritenuto inammissibile il ricorso del “vecchio” Palermo contro la delibera della Corte federale che lo esclude dal campionato di Serie B (il Venezia è già stato ripescato). Terminato il percorso della giustizia sportiva, resta il Tar del Lazio. Ammesso che lo si voglia scomodare per davvero, sarà totalmente inutile. La Federazione Italiana Giuoco Calcio, infatti, ha cessato l’affiliazione dell’U.S. Città di Palermo, che ha cambiato nome e proprietario: il club, che si chiamerà semplicemente Palermo, è stato aggiudicato – sulla base del bando predisposto da sindaco e Amministrazione comunale – alla società Hera Hora di Dario Mirri e Tony Di Piazza, da cui ripartirà il nuovo corso tra i Dilettanti. Toccherà a loro far dimenticare i guai dell’ultimo anno: prima di Arkus era stato il turno degli inglesi di Sport Capital Group, che arrivarono senza il becco d’un quattrino e pretendevano di essere ricompensati per la cessione del club.
Un po’ come i Tuttolomondo. Questi irredimibili della finanza e degli affari, specializzati in ristrutturazioni aziendali ma col pallino del turismo, nel video-messaggio del 3 luglio confermavano che “noi nel Palermo ci abbiamo messo soldi veri, non chiacchiere. Non abbiamo di che giustificarci. Il Palermo è vivo e vegeto e il nostro operato è stato e continua ad essere del tutto trasparente. Non ci lasceremo scippare il Palermo calcio né i nostri investimenti”. Prima che tutto naufragasse con l’iscrizione, dicevano di aver investito 12 milioni di euro. Però, gli unici soldi che si sono visti in questi mesi – ma risultano crediti non documentati (e quindi non esigibili) – sarebbero serviti a ripianare un passivo patrimoniale di 8,3 milioni. Tutto il resto rimane fuori. Niente fidejussione, niente stipendi (i calciatori sono rimasti con tre mesi di arretrati), l’albergo del ritiro già disdetto. Un “pacco” di proporzioni gigantesche, anche se i Tuttolomondo si sono giustificati dicendo di aver agito in “autotutela” e dichiarandosi pronti, in una lunga lettera recapitata alla Covisoc, a saldare il tutto “non appena Federazione e Lega di B comunicheranno che attraverso tali adempimenti il Palermo potrà ottenere una piena disamina della sua richiesta di iscrizione”. Per la prima volta i ruoli si sarebbero ribaltati: prima l’iscrizione, poi (forse) i soldi. Carta straccia.
Hanno fatto patti col diavolo (Foschi e la De Angeli, diretta emanazione dell’ultima scellerata gestione Zamparini); promesso una barca di soldi per risollevare le sorti del club (30 milioni); coinvolto e tradito gli imprenditori palermitani, costringendoli a ritirare la promessa di un contributo da 3 milioni; stipulato fidejussioni “fantasma”, per il tramite di un broker poco raccomandabile, con una compagnia assicurativa bulgara che non l’ha mai emessa; rigirato il Consiglio d’Amministrazione come un calzino e fatto fuori chi pretendeva di visionare i documenti contabili (il presidente Alessandro Albanese e il vice Macaione), preso un allenatore d’esperienza (Pasquale Marino) per poi lasciarlo a piedi. Hanno affidato la gestione sportiva a un manager di fama, Fabrizio Lucchesi, che negli ultimi tre anni si era stranamente ritrovato al centro di altrettanti fallimenti (Pisa, Latina e Lucchese), tanto da indignare persino Luciano Moggi, un ex dirigente tutt’altro che integerrimo (“E’ il solito, dove va succedono queste cose”).
Hanno combinato il possibile e l’impossibile, ma sarebbe bastato dare un’occhiata alle loro imprese precedenti per avanzare qualche dubbio: Salvatore Tuttolomondo era stato al centro del fallimento di una società (la Sia Sud Italia) e di una finanziaria (la Fiscom) ed entrambe le volte fu arrestato. Ma si era salvato da una condanna grazie all’intervento della prescrizione. Bastava annusare l’aria per evitare una fine così impietosa. Ma nessuno l’ha fatto: né Foschi (che oggi si dice “poco convinto” quando ripensa al closing), né la De Angeli, storica collaboratrice di Zamparini, che aveva salutato con entusiasmo il passaggio di proprietà. Gli hanno spalancato le porte. Ora i Tuttolomondo rischiano di sparire nell’anonimato. Hanno terminato i video-messaggi, hanno smesso di trovare alibi. Dopo aver fatto danni e consumato un’ingiustizia. Forse è stato solo un brutto sogno.
L’ORDINE DI SFRATTO DI ORLANDO
Che i fantasmi di Arkus Network aleggino ancora dalle parti dello stadio Barbera è notizia di queste ore. Il sindaco Leoluca Orlando, infatti, si è detto pronto a consegnare le chiavi dell’impianto ai nuovi proprietari di Hera Hora, dato che la convenzione con l’U.S. Città di Palermo è scaduta. Ma quelli di Arkus non vogliono andar via: “Le vicende connesse all’iscrizione – ha scritto in una lettera Roberto Bergamo, il presidente – sono tutt’ora sub iudice e quindi non si è formata alcuna autorità di cosa giudicata”, motivo per cui non si dà corso “ad alcuna riconsegna dell’impianto”. Entro la data di ieri Arkus avrebbe dovuto indicare la data di rilascio dello stadio ma non l’ha fatto. Prima, inoltre, dovrebbe saldare 4 milioni di euro di canone (per gli anni dal 2004 al 2018). Orlando è pronto a disporre l’intervento della Polizia municipale qualora gli avventurieri non decidano di lasciare gli uffici.