Più che una commedia, all’inizio fu quasi una tragedia. La mamma bancaria in tempi in cui, se andavi in pensione, il figlio aveva una scorciatoia per prendere il tuo posto. Il papà informatore scientifico e anche la casa farmaceutica avrebbe volentieri accordato l’ereditarietà. Ma lui no. Sergio Friscia, classe 1971, 48 anni, voleva fare il comico. Ma che mestiere è? Era un mestiere per cui 30 anni fa esatti, 1989, in Limitati, programma del suo esordio, a Telesud, «dovevi fare’u travàgghiu di trenta cristiani: l’autore, l’attore, il costumista, lo scenografo, il truccatore, il microfonista, l’elettricista…». Però la carriera parte da lì, da quella dimensione multiforme, ché ancora multitasking non era d’uso corrente. Poi arriva Belli sodi per un network siciliano, trampolino verso la prima apparizione nazionale tra i barzellettieri di La sai l’ultima? Lì qualcuno gli sussurra: «C’è Boncompagni che cerca giovani per un nuovo show di Raidue, mandagli una videocassetta». Gianni l’aretino lo convoca a via Teulada per un provino: «Mi ero preparato due, tre pezzi con i miei personaggi. Ma lui mi spiazza, invece di mettersi dietro la telecamera, si siede accanto a me e mi fa: “Ah, tu, dunque, da Palermo, hai deciso di aprire un ristorante su Marte”. Ci volle poco a capire che voleva mettere alla prova la mia capacità di improvvisare. Mi prese. Fu un bel laboratorio, Macao, e una grande fucina di talenti: Brignano, Ocone, Impacciatore, Cortellesi, Biagio Izzo…».
Scoppia la grande popolarità: la gente lo ferma per strada, pretende seduta stante, sul marciapiedi, sketch improvvisati con il “signor Di Giovanni”, con “Lollo”. Con quest’ultimo Friscia arriva in Parlamento, da “accusato”. «Lollo era la parodia, non così lontana dal reale, di un tipo fumatissimo che avevo conosciuto, la capigliatura rasta, le collanine e i braccialetti, lo sguardo perduto, l’eloquio vaneggiante, rollava canne di marijuana una dietro l’altra. “E’ ora di piantarla!” diventò un tormentone nazionale a doppio senso. “Un personaggio che dalla tv di Stato incita all’uso della droga!” scrissero a Montecitorio nell’interpellanza. Io me la facevo sotto. Boncompagni, toscano e cinico, mi rassicurava “tranquillo, continua”. Poi ci chiamarono da viale Mazzini e Lollo continuò a vivere solo sulla scena».
Macao fu l’autocertificazione: sì, questo è un mestiere e lo posso fare. Se ne convincono anche mamma e papà. Liborio, suo padre, lo accompagna addirittura in tournée, dice alla gente «sono il road manager di Sergio Friscia». «Oggi che non c’è più mi manca quel senso di tutela, era sempre lì, dietro le quinte, a porgermi l’asciugamano, la bottiglietta dell’acqua, gli oggetti di scena, il Polase. Nel 2015, quando è morto, non ce l’ho fatta, ho sospeso le serate per quasi un anno».
E comunque, il dopo-Macao fu un delirio. «L’estate successiva ho fatto 98 serate in due mesi e mezzo, alcune doppie, la prima alle 21 in una città e la seconda alle 23,30 in una città vicina, con la polizia che mi scortava, con la gente che veniva sotto il palcoscenico e mi chiedeva “signor Friscia, me lo bacia il bambino?” e io “signora, e cu sugnu, u Papa? Il mio datore di lavoro è sempre stato il pubblico, per fortuna, non mi ha mai abbandonato. Perché questo dello spettacolo è un mondo in cui il merito non sempre paga».
Trent’anni tondi e un bilancio è d’obbligo: «Sono contento, che importa se non mi faranno fare mai una prima serata o un film tutti miei, la gente è sempre lì e mi vuol bene, forse non ho sgomitato abbastanza, non ho mai chiesto niente a nessuno, me l’hanno insegnato i miei, ho frequentato viale Mazzini o Cologno solo per firmarli, i contratti, mai per chiederne. Non ho rimpianti, insomma, ho fatto tutto con amore e passione, dagli show e dalle fiction sulle reti nazionali alle serate per la festa del patrono nel più piccolo dei paesini».
Non si pente di nulla. «Una volta litigai con Guardì. Facevo I fatti vostri con Giletti, Cutugno, Rita Dalla Chiesa. Non mi sentivo valorizzato. Gli dissi: “Michele, qui dò il minimo, me ne vado”. Si incazzò moltissimo. Qualche anno dopo, mi vide a Quelli che il calcio dove il direttore di Raidue, Marano, mi aveva chiamato a sostituire Max Giusti. Mi telefonò e mi propose di tornare nella sua squadra: “Vieni a fare il conduttore di Mezzogiorno in famiglia. Anche con Antonio Ricci i rapporti sono sempre stati buoni. Quando si preparavano i palinsesti mi telefonava e mi diceva: “Sergio, ricordati di Striscia, io ti dò per scontato”.
E’ tornato alla radio, primo amore giovanile da dilettante, ogni mattina per tre ore è su Rds con Anna Pettinelli in Anna e Sergio, «arrivano migliaia di messaggi di gente che ha anche problemi seri, interloquire con loro è un arricchimento, la radio si è meno invelenita rispetto alla tv in questi ultimi anni». Lui quest’anno in tv non ci torna: «Freccero ha segato Mezzogiorno in famiglia e dunque mi ritengo libero. Vorrei fare tante cose anche se in Italia essere poliedrico sembra quasi un limite, una malattia. Altrimenti non ci avrei messo 15 anni per convincere registi e produttori a farmi fare le fiction e per poter entrare nei cast de Il capo dei capi o di Squadra antimafia. C’è una proposta teatrale importante e molto allettante, l’altro giorno ho fatto un provino con un direttore d’orchestra e mi ha detto “ma lei lo ha mai saputo di avere una voce da tenore?”.
Un’altra conferma: sì, Sergino, questo è un mestiere e puoi continuare a farlo.