E’ l’ottavo mese di una sessione di Bilancio infinita. Palazzo dei Normanni, con buona pace delle riforme (in primis quella sui rifiuti, che rischia di slittare a dopo l’estate), è impegnato nell’approvazione di una serie di “collegati” al collegato generale alla Finanziaria, che solo la scorsa settimana scorsa ha visto la luce e ricompattato la maggioranza. Ma questi “collegatini” sparsi qua e là, i tempi che si dilatano, le decisioni importanti che si rimandano, hanno ispirato Antonello Cracolici, deputato regionale del Pd ed ex assessore all’Agricoltura, che ha coniato una nuova espressione: quella di Parlamento Netflix, “perché approviamo la Finanziaria a episodi”. Sorride Cracolici, ma non troppo vista la condizione della Regione: “L’azione del governo pare ispirata da un “modello spezzatino”. In questa Finanziaria si parla in gran parte di piccole norme per risolvere singoli problemi, questioni, aspettative. Una somma di cose senza alcuna visione o strategia. Un’accozzaglia”.
In teoria il collegato sblocca-concorsi dovrebbe cambiare il volto della macchina dell’amministrazione regionale. Non sembra una cosa da poco…
“In effetti stiamo parlando di cose che potrebbero lasciare il segno. Ma proprio perché così delicate e importanti, puoi ridurle su un binario morto come quello di questi mesi? Il tema della riorganizzazione della macchina regionale è dirimente e strategico, nessun governo lo tratterebbe come un semplice emendamento a un’altra legge. A caratterizzare l’azione dell’esecutivo è questa non-strategia, con norme che spesso rischiano di contraddirsi. Da un lato approviamo “quota 100” per far uscire prima i dipendenti, dall’altro studiamo il modo di nominare dall’esterno i dirigenti di una Regione che ne ha già 1.400”.
Il governo ha garantito uno stanziamento di 200 mila euro. Non bastano per assumere 100 dirigenti. Lei, in aula, ha lanciato il sospetto che quest’articolo sia “un insieme di cortesie” che rischia di devastare l’ordinamento della Regione.
“Si tratta fondamentalmente di una norma astratta. Se dovesse venire approvata in questi termini, la Regione rischia di diventare una calamita di pressione per gente che vuole venire in mobilità o in comando. Una sorta di formaggio svizzero, piena di buchi, mentre in questi sessant’anni si è sempre impedito le procedure di mobilità in ingresso. E’ un sistema confuso”.
Cosa pensa della promozione, senza concorso, dei dirigenti di terza fascia alla seconda fascia? Potrebbe essere una norma incostituzionale.
“Questi problemi sono figli di problemi già creati in passato. La terza fascia non esiste nel resto d’Italia, ma soltanto in Sicilia. Che sia necessario uniformare l’organizzazione interna a quella delle pubbliche amministrazioni di tutta Italia è evidente, ma bisogna farlo in modo chiaro. Se tu abolisci la terza fascia, che diventa a esaurimento, ma allo stesso tempo ti ritrovi a chiamare dirigenti esterni, questi si ritroverebbero in seconda fascia, scavalcando quelli che aspettano da vent’anni. Cose folli. Non è questo il modo di gestire la politica del personale”.
Tra le norme approvate nel “collegato” generale c’è il centro direzionale della Regione. In attesa di conoscere il patrimonio immobiliare dell’Ente. Non cozzano le due cose?
“Attorno alla questione del centro direzionale si annidano dietrologie e dubbi che non sono stati sciolti dal dibattito in aula. Immaginare di fare una norma che abbia come efficacia un tempo di vent’anni – a questo governo piace molto ragionare per ventenni, fa parte della cultura della destra – è più una norma manifesto. Nessuno può sapere che pubblica amministrazione ci sarà tra vent’anni, a che punto sarà arrivato il livello di informatizzazione, ecc… Il punto è anche un altro: la Regione ha deciso di fare un centro direzionale, ma non sappiamo nulla dei beni di sua proprietà. Una parte di essi, col governo Cuffaro, li ha ceduti a un fondo (il Fiprs, ndr) di cui è socia al 37%, e da cui poi li ha ripresi in affitto. Sa che gli edifici di via Ugo la Malfa, dove potrebbe nascere il centro direzionale, appartengono a quella società? Bisognerebbe prima rientrarne in possesso… Forse l’unica ragione per cui si è fatta questa norma è cominciare a erogare risorse a favore di chi sta curando la progettazione”.
Anche la storia del censimento fantasma da 91 milioni puzza parecchio. Che idea si è fatto? Armao aveva comunicato che entro il 17 o 18 luglio, ritrovata la password, si sarebbe aperto il server. E’ già in ritardo.
“Ci credo poco che manchi la password di un’attività predisposta dall’amministrazione regionale. Anzi, se mi permette, non ci credo affatto. Mi sembrano affermazioni frutto di una conoscenza superficiale dell’attività amministrativa. La società incaricata dalla Regione per fare l’inventario, ha operato per nome e per conto della Regione, quindi con una delega, su beni pubblici della Regione. Non può diventare proprietaria delle informazioni su quei beni. Non è possibile, è un reato. Quelle di Armao mi sembrano parole buttate lì senza una reale conoscenza. Tanto che ora la password sarebbe stata ritrovata… Il vero problema è conoscere lo stato patrimoniale della Regione. Da parte mia dismetterei alcuni beni, quelli non strategici, per razionalizzare la spesa”.
Il suo collega di partito Lupo, in aula, ha chiesto al presidente Musumeci un certificato di “esistenza in vita” del governo e della sua coalizione. Lei che impressione ha dell’esecutivo?
“E’ un governo che sta andando avanti in attesa di farne un altro. Ciò che li tiene insieme è l’aspettativa, non l’azione. Dopo due anni vedo soltanto proclami. Nessun provvedimento di riforma e di riordino. Le poche cose fatte non partono, come la riforma del credito siciliano, che prevedeva lo scioglimento di Ircac e Crias e la creazione di un soggetto unico. Il risultato è che Ircac e Crias sono ancora là. Che fine ha fatto lo scioglimento degli Iacp? E l’abolizione dell’Esa? Se c’è una cosa che si evidenzia nell’azione di governo è il “passatismo”. Come se le ricette che si sono utilizzate nel passato, fossero le uniche per poter governare questa Regione. Non c’è spirito di cambiamento, è un governo che galleggia per sopravvivere. C’è un assessorato, quello ai Beni Culturali, ancora scoperto. Settori strategici, come l’Agricoltura, dove cambierà l’assessore. Quando tu delegittimi la squadra, perché questo è avvenuto, la macchina si ferma”.
La commissione nazionale di garanzia ha scelto di detronizzare Faraone dopo i ricorsi presentati dalla sua corrente. Se l’aspettava?
“Il mio approccio a questa storia dei ricorsi è stato di tipo agnostico. Al di là dell’esito, mi è parsa una barzelletta andata avanti per mesi. Dimostra che il Pd nazionale non ha affrontato con il necessario rigore la questione siciliana. Il problema non è Faraone, ma la capacità di un partito, con le sue regole, di essere attrattivo nei confronti dei cittadini che, magari, non sono militanti ma guardano a noi con speranza. Se il Pd vuole essere il partito del “forse”, secondo me avrà non avrà vita facile. Aver tenuto aperta la vicenda così a lungo ha aggravato il problema. Mai come in questo caso, il tempo ha giocato contro e non a favore”.
E’ contento oppure no?
“E’ giusta la decisione di annullare il congresso del Pd siciliano. Ma non riesco a gioire. Ho cercato di impedire con tutte le mie forze questo disastro. Ho chiesto, inascoltato, di non fare il congresso regionale fino a quando non fosse ricomposta una platea certa degli aderenti al Pd. Avevo avanzato la proposta di un segretario unitario di ricostruzione. Anche questa proposta è stata rigettata in maniera sprezzante. Alla fine dopo circa un anno si ritorna al punto di partenza ma con una situazione peggiorata. Spero saremo all’altezza della ricostruzione”.
Condivide, nella forma e nella sostanza, le ultime proteste del suo ex segretario? Mi riferisco all’incursione sulla Sea Watch e alla marcia di 90 km sulla Ragusa-Catania.
“I problemi per i quali si è impegnato Faraone sono condivisibili. Ma la crisi del Pd è confermata dalle modalità con cui Faraone ha evidenziato questo genere di problemi. E’ una sorta di “io a prescindere dal Pd”. Non mettendo in campo azioni condivise. Ma esprimendosi in modo soggettivo, più per stare sui giornali che non per risolvere le questioni. Una sorta di “io sono il Pd” e “il Pd non serve a nulla”. E’ un atto d’individualismo. Questo del partito che si fa persona è una filosofia che non tiene conto della dimensione partecipativa. Secondo me è sbagliata e pericolosa”.