Tra le acque del Nilo, su un palcoscenico antico come quello di Siracusa ma immerso nella modernità dei registi più eclettici come il torinese Davide Livermore, la sua “Elena”, che ha aperto la 55° edizione di rappresentazioni classiche, tra gli applausi scroscianti del pubblico per circa dieci minuti e una standing ovation finale, si conclude mettendo d’accordo veramente tutti. Livermore ha apportato un grande tocco di innovazione al teatro siracusano (è la prima volta, infatti, che l’acqua viene usata come elemento decorativo nel teatro di Siracusa). Emblema di vita e sofferenza, simbolo degli aspetti cangianti del tempo e delle molte verità, elemento quanto mai attuale, l’acqua riempie il palcoscenico, ed è il luogo dove si stanno consumando le più grandi tragedie dell’umanità. Con i morti in mare, i naufragi, la povertà e l’infelicità nel distacco dalla propria terra. Menelao è simbolo di tutto questo. Bisognoso di tutto e abbandonato da tutti, così si presenta il re di Sparta, marito della bella Elena. Impavido, infelice e innamorato. “Sono un naufrago e ho diritto d’asilo”, reclama. Per difendere il diritto alla vita. “Da noi i porti sono chiusi”, risponde la serva. Per sbarrare il confine del diritto alla vita.
“A che serve l’oracolo? A che serve la divinazione? Offriamo sacrifici agli dei per orientare il loro volere, ma non crediamo agli oracoli”, dichiara il coro, di fronte al destino che ricongiunge gli amanti dopo le varie vicissitudini. Paride scelto per consegnare la mela d’oro ad Afrodite, da cui in cambio riceve l’amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta, già moglie del re Menelao. Il ratto dichiara la guerra dei Greci ai Troiani mentre Hermes ha creato un fantasma con le sembianze di Elena. Tutti credono sia lei, la donna rapita da Paride, infame, sacrilega e adultera. Ma così non è. La vera Elena è in Egitto, a deciderlo è stata Era (alias Giunone) e gli intenti extraconiugali non sono mai stati messi in atto. Paride rapisce un fantasma, e per un semplice fantasma scoppia un conflitto, il conflitto più grande della storia della classicità. “La vera divinazione sono la ragione e il buon senso. Non esiste felicità al di fuori della giustizia”, sigilla la vita, il riscatto oltre la maldicenza e il riposo dopo il combattimento. “Quello che spesso è più chiaro, è anche più falso”. L’innovazione di Livermore è apportata anche da un grande schermo di circa 20 metri dal quale parla la vecchia Elena che ricorda il tempo che è stato. Geniale anche l’utilizzo degli specchi, simbolo di riflessione sull’inconcludenza della guerra e l’importanza della vita, rivolti verso il pubblico nella parte finale.
Il movimento dell’acqua, un’acqua che accoglie e accompagna il naufragio della vita, fatta di infelicità e successi è unito al suono, con citazioni da Mozart, Boccherini e Ravel, riprodotto da sensori oltre che dal vivo attraverso un’arpa. Un’altra nota particolare apportata da Livermore, è il tocco lirico, con l’ingresso della veggente Teonoe, in un canto, che richiama l’attività del regista nel teatro d’opera. Oltre alla commedia dell’arte, che figura in Teoclimeno, il re d’Egitto, che da re malvagio e dispotico, viene rappresentato sotto un aspetto comico con una buffa gestualità e parlato oltre ai costumi tipici del 1700. “Elena Di Troia, Anna Bolena, Adriana Lecouvreur e Tosca. Tutte grandi donne che il regista, sceneggiatore e scenografo Davide Livermore incontra nel suo cammino quest’anno, fra teatro e opera lirica”, si legge in un’intervista su Avvenire. “Dopo il successo della prima della Scala dello scorso anno con l’Attila di Verdi dal taglio cinematografico, il regista (53 anni) acclamatissimo all’estero, farà il bis il 7 dicembre sempre al fianco di Riccardo Chailly, inaugurando la stagione con la Tosca di Puccini. A luglio debutterà con “Anna Bolena” di Donizetti in Australia, alla Sidney Opera House, mentre ad agosto sarà al Rossini Opera Festival a Pesaro con “Demetrio e Polibio”, e a Orange con il “Don Giovanni di Mozart” al Teatro Antico, per poi arrivare all’Opera di Marsiglia a marzo 2020 con “Adriana Lecouvreur” di Francesco Cilea.