Almeno una soddisfazione a Cannes ce la siamo tolta: se proprio Bellocchio-Favino non hanno convinto la giuria con il loro Buscetta, il regista coreano lanciato sul gradino più alto del podio, Bong Joon-ho, ha confessato il suo più grande desiderio (secondo solo alla Palma d’Oro, ovviamente): conoscere Gianni Morandi che nella scena finale del suo Parasite, il film vincitore, il cineasta omaggia con In ginocchio da te. Sono soddisfazioni. Occhio ai prossimi post dell’ex ragazzo di Monghidoro su facebook. Adesso pare tocchi al distributore italiano della pellicola coronare questo sogno sempre che la sua impresa sia però coronata da successo: e cioè vedere il film approdare nelle nostre sale per restarci qualche giorno in più rispetto agli spicci di calendario di solito concessi ai titolati titoli d’Oriente che, come d’abitudine, s’accaparrano la massima onorificenza sulla Costa Azzurra per poi sparire nel deserto della memoria e assistere, se non proprio alla ressa, a un’affluenza che conti su piccoli manipoli di spettatori, gruppetti di cinéphiles, ultimi barricaderi di opere d’essai, sopravvissuti ai dibattiti nei cineclub. Si scherza ma mica tanto, concedeteci cento grammi di disillusione e altrettanti di smarrimento. Ma come? Tredici minuti di applausi per Il traditore, lodi su lodi a un quasi ottuagenario maestro del cinema (d’accordo, la Cina, più che vicina, ormai è a casa nostra e magari non avevamo fatto i conti con la Corea), peana per la camaleontica performance dello strepitoso attore che s’incarna in don Masino e poi… è tutto qui? Pur senza essere seguaci di Chovin (quel modello lo lasciamo ai cugini d’Oltralpe) brucia un po’ questa illusione infranta sulle lustratissime vetrate al n. 1 di Boulevard de la Croisette.
Per arrivare a cose più prosaiche del lussuosissimo Festival du cinéma, spostandoci, per dire, negli studi Mediaset sulla Tiburtina (gli ex stabilimenti Titanus dove i Lombardo padre, figlio e nipote accarezzavano grandi sogni in celluloide) si celebrava, sempre sabato sera, un altro vincitore, acclamato dal popolare pubblico di Maria De Filippi: Alberto Urso, 21 anni, messinese d’origine, che si fa presto a chiamare tenore, un giovinotto bellesperanze simil-Bocelli tra pop e lirica, caruccio un sacco, perfino scevro – guarda un po’ – da quella prosopea che in genere i post-puberi Amici di Maria inalberano già al loro ingresso in quell’accademia ad uso tv, in primo luogo coi loro malcapitati professori che devono solo ringraziare che non ci siano ricevimenti con genitori che li possano malmenare. Anche qui, chissà: puoi fare il botto o seguire il destino di Pierdavide Carone. Intanto i giornalisti – gli stessi che a Sanremo massacrano gente che per decenni s’è fatta il mazzo – qui ti dicono solo quanto sei bravo e quanto sei bello e che gran carriera che farai, tanto poi a decidere tutto è il solito televoto.
Se proprio avete ancora sete di vittorie sui cui discutere e smarrimenti in una indefinita globalità, non è finita qui: perché venerdì prossimo sarà la volta di un altro vincitore, quello di Ballando con le stelle, la gara dove le suore ballano, i politici ballano, i sottotenenti di marina ballano, i calciatori ballano, gli youtuber ballano, gli indossatori ballano, i giornalisti ballano, dove allegramente, insomma, tutti fanno un mestiere che non è il loro.