Con Antonio Calbi è così. Inutile prepararsi le domande perché tracima, esonda, straripa, trabocca. E dunque, gioca d’anticipo, previene, in quel che dice c’è già la risposta a quel che avresti voluto chiedergli subito dopo. Non c’è il tempo, ad esempio, per domandare al neo-sovrintendente dell’Istituto nazionale del dramma antico, se il passo dall’oro degli stucchi dell’Argentina (ha diretto il Teatro di Roma fino a pochi mesi fa) al bianco delle pietre millenarie della cavea greca di Siracusa sia stato lungo, che lui ha già intavolato un ragionamento sul fatto che entrambi i luoghi sono stati, come simboli architettonici, il parlamento sociale delle due città, là dove si è esercitata l’arte della polis. Certo, qui sul colle Temenite siamo al quinto secolo avanti Cristo, mica nel Settecento, siamo alle radici del tempo, nel cielo più alto e politico della scena. Cambia la scala ma sempre di teatro pubblico si tratta. E comunque, azzarda Calbi, duemila anni dopo, non fu forse l’Inda, nel 1914, promuovendo la reviviscenza di quei classici, il primo esperimento di teatro pubblico del ’900 rivolto com’era non più ad un’élite ma a cinquemila spettatori?

In ogni caso la tensione da “sotto debutto”, Calbi non la può nascondere. Domani si inaugura la stagione 2019 di Siracusa, la prima sotto la sua guida (“stagione” e non più “ciclo di rappresentazioni classiche” perché fino al 6 luglio oltre a due tragedie e a una commedia ci sono anche musica, danza, mostre, incontri). Si parte – in un cartellone che ha per tema le donne e la guerra – con due Euripide: venerdì Elena, regia di Davide Livermore, protagonista Laura Marinoni, e sabato Le troiane, regia di Muriel Mayette-Holtz, primattrice Maddalena Crippa, poi dal 28 giugno Lisistrata di Aristofane, regia di Tullio Solenghi con Elisabetta Pozzi nel ruolo del titolo.

Tre spettacoli diversissimi tra loro. «Mi piacerebbe che il pubblico non si dividesse tra “più bello” e “meno bello” – dice Calbi – che non desse pagelle ma che aderisse ai progetti ed è poi naturale che uno possa coinvolgerlo più di un altro. L’Elena di Livermore è una bomba tecnologica, con quello Stige di 30 mila litri d’acqua che inonda la scena e sul quale recitano gli attori, il regista arriva dalla lirica e la sua lettura sovrabbonda di forme e di linguaggi, compreso quello sonoro che non darà tregua per tutta la durata dello spettacolo, nemmeno un secondo di silenzio. Altro stile con la regia della Mayette-Holtz per Le troiane: c’è il suggello della Comédie Française e con lei dunque ci si inoltra nella tradizione del classico, di una cifra essenziale, quasi minimalista. E poi Solenghi, con la commedia, darà vita ad una rappresentazione dal taglio pop. Credo che in questa diversità consista la ricchezza della stagione che andiamo ad inaugurare».

“Un presente antichissimo” è il motto 2019 dell’Inda, dove i classici – per bocca delle donne, quest’anno – parlano di guerra, di pacifismo, di migrazioni, di disastri ambientali (quel fiume esondato che è la cifra scenografica di Elena a giorni alterni sarà prosciugato per fare spazio agli alberi del Friuli abbattuti dal maltempo dell’autunno scorso che connoteranno l’ambientazione de Le troiane), di femminismo e di femminicidio, di presa del potere con l’occupazione dei suoi simboli, di rapporto con il divino e con la bellezza.  E ognuno di questi temi percorrerà anche le proposte di danza, di musica, le due mostre al Museo Archeologico e a Palazzo Bellomo, i recital, gli incontri perché, chiosa Calbi, «la memoria non è un museo».

Il neo-sovrintendente sogna per il futuro un Inda Festival da tre mesi di spettacoli, che sappia incrementare il legame con la città di provincia in cui opera per portarla all’attenzione nazionale ed internazionale esportando ancora di più i suoi titoli nei teatri antichi (quest’anno da Verona a Cipro), che si apra all’«off» ospitando – per esempio – una versione giapponese de Le troiane con i danzatori butoh o producendo una Medea sperimentale, che dialoghi con le grandi rassegne europee da Edimburgo ad Avignone, che abbia meno pregiudizi nei confronti del mondo latino (vagheggia Terenzio, Plauto e si spinge fino allo Shakespeare di Tito Andronico e di Antonio e Cleopatra).  «Non voglio gestire l’ordinario», afferma tenacemente Calbi anche se sa bene che, per far questo, ha bisogno dell’appoggio del cda, della politica e di mecenati che puntino sulla sua scommessa.

Intanto si appresta a far partire la corazzata siracusana nel suo primo viaggio da comandante e, nonostante offici il più potente rituale laico, si affida religiosamente alla più autorevole fra le siracusane tutte, Santa Lucia. Calbi, confessi, che le ha chiesto? «Tre cose: che non faccia piovere, che i tre spettacoli siano bellissimi e che il pubblico accorra come le cavallette dell’invasione biblica. Perché diciamocelo chiaro: se l’Inda è così vitale è grazie soprattutto agli incassi che ogni anno sono il 70% del suo capitale».