Vent’anni e non sentirli. Pochi, tanti, certamente abbastanza per una produzione televisiva che non è affatto stanca. Anzi, l’imprinting del successo – diventato da qualche tempo sociologico oltre che mediatico – è la forza da cui trae ispirazione Palomar, la casa di produzione di Carlo Degli Esposti. E di cui, quotidianamente, si nutrono Luca Zingaretti e Alberto Sironi, protagonista e regista della fiction più nazional-popolare che esista. Mentre, in replica, continua a macinare ascolti da record (6 milioni ogni lunedì), il commissario Montalbano, in versione low profile, ha ripreso a girare nel borgo mite e silenzioso di Punta Secca, in provincia di Ragusa. Che il primo maggio, destatosi dal torpore di una primavera incerta sotto il profilo meteorologico, ha accolto la troupe della Rai con un calore che poche altre volte si era visto. Non è dato sapere, fino in fondo, a cosa si debba tanta affezione: alla tempra del commissario, all’audacia delle sue indagini, alla penna sublime di Camilleri, alla purezza dei luoghi. O a tutto questo insieme. Non si capisce, ma va bene comunque.
Ogni anno, ogni primavera, il Ragusano accoglie in trepidante attesa, fatta di poco chiasso e tanti selfie, la grande macchina di Montalbano. Non c’entra la Fiat Tipo grigia, di vecchia data, che in questi giorni si prende la scena sulla piazzetta della Torre, a due passi dal mare. Di fronte alla casa di Marinella. Macchina in senso ampio. Decine di persone al lavoro. Figuranti da tutta la Sicilia, tecnici, camper, fili e luci d’ogni tipo. Eppure il chiasso è relativo, come se i ragusani questo luogo del cuore, e il suo cinema, volessero preservarlo da violente invasioni. Ci riescono a stento, perché il fenomeno è debordato. Da tre anni a questa parte, l’inizio delle riprese diventa un momento di rara contemplazione del creato. Del reale e del magico. Di ciò che Montalbano rappresenta (una serie tv) e di ciò che Montalbano porta (un turismo in espansione “controllata”).
E forse anche Luca Zingaretti, una persona ancorché un personaggio che in molti – nella vita reale – avevano definito “scontroso”, si è finalmente sciolto. Amalgamato nella vita dei pescatori. Sedimentato nella cultura e nei piaceri di un popolo che si muove piano: l’arancino, la corsetta sul lungomare, le foto al tramonto. Elementi di scena ribaltati sui social, l’anima intima data in pasto al pubblico. Durante le riprese vige la massima riservatezza, poi è un fioccare di foto e di video. Nell’ultimo, Zingaretti mostra la sua Marinella ripresa dall’alto, lui che scende in strada e stringe mani, lui che scatta foto e alza la voce: “Ciao cumpà!”. Uno di loro e uno di noi. Perché dopo vent’anni anche questo miracolo è avvenuto: che un set cinematografico diventi il set della vita, in cui portare la famiglia (il “commissario” si è presentato con moglie e figlie al seguito), in cui trascorrere del tempo senza avere la sensazione di essere soffocato dalla fama, da cui spesso le gente di spettacolo rifugge. Storie d’apparente normalità. Rari attimi di vissuto. Un tutt’uno che aggrega attori e non attori.
Da qualche giorno, fra Marina di Ragusa e Punta Secca, le zone del Ragusano che meno vivono di barocco, ma più di mare, sono cominciate le riprese di tre nuovi episodi che andranno su Rai 1 nella prossima primavera (di solito vengono fatti coincidere con la fine del Festival di Sanremo). Qualcosa che si ripete da vent’anni a questa parte, ma adesso è impressionante. E’ l’incedere di un’attesa composta, di calche (poco chiassose) e narrazioni (sempre più avvincenti). E il territorio che fa? In parte guarda, campa di pubblicità gratuita. E’ stato bravo a farlo. Ma sa bene che occorre giocare di sponda, fornire ogni anno qualche servizio in più – anche il più basilare si rivela apprezzato – rilanciare le bellezze per soddisfare i palati, quelli degli avventori. Che nella giornata del primo maggio hanno letteralmente invaso Punta Secca, in questa smodata ricerca della pelata lucida di Zingaretti, della telecamera che si muove, delle luci che abbagliano anche di notte. Devi lasciargli in bocca un sapore buono, in poco tempo, pur sapendo che a parte il mare e il paesaggio non esiste granché. Forse volutamente.
Dall’inizio di Montalbano – correva l’anno 1999, il primo episodio si chiamava “Il ladro di merendine” – sono sorte una marea di case vacanza e bed & breakfast, soprattutto nell’ultimo quinquennio, ma mai un hotel di lusso. Ma neanche un hotel e basta. Il barocco tiene botta nei grandi centri che il commissario utilizza per le sue repentine sgommate in auto – dal cuore di Scicli alle cupole di Ragusa Ibla – ma nessuno osa a due passi dal mare. I progetti degli alberghi sono rimasti impolverati nei cassetti delle amministrazioni. Va bene così, in fondo. Nessuno chiede a Ragusa di diventare Riccione. O il commissario potrebbe risentirsi e migrare altrove.
“Per me ogni volta è come andare a trovare un amico che abita in un paesino della Sicilia. E quando sono lì ci raccontiamo come stiamo […] se penso che sono passati 20 anni mi prende un colpo. Eppure io continuo a fare questa serie con una voglia e una freschezza tali che è come se avessi cominciato ieri” ha detto qualche tempo fa Zingaretti. Beato fanciullino.