“Mai rovinare una buona notizia con la verità”, recita un vecchio adagio giornalistico. Succede però a volte che una telecamera birichina, piazzata dove non dovrebbe stare, stravolga i piani e ci riporti sul pianeta terra. La mafia dietro l’auto bruciata all’attivista di Libera? Titoloni di giornali, Cosa nostra che rialza la testa e zittisce chi vuole riportare Palermo, e la Sicilia, lungo i binari della legalità. Il Corrierone, il Tg1, la mafia la mafia la mafia. Don Ciotti che urla “non ci fermeranno”, fiumi di reazioni pure dall’Iperuranio. Bella notizia, giornalisticamente parlando. Chi lo nega?
Neanche lo spazio di 24 ore e le indagini, supportate da quella telecamera impicciona, ci impongono il dietrofront. Abbiamo scherzato. Non di mafia si tratta, ma di un tizio (in ciabatte) che dà fuoco ai cumuli di immondizia che abbelliscono la strada. L’auto dell’attivista di Libera ha la sventura di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, tutto qui.
Pensavo fosse amore, invece era un povero pazzo – non nuovo a queste imprese – che si aggirava per la città in ciabatte e con un accendino in mano. E ora chi lo racconta a chi vede la mafia ovunque? E che automaticamente – senza il conforto di un’indagine anche sommaria – associa l’auto bruciata di una ragazza meritoriamente impegnata contro la mafia a un attentato della mafia stessa? Il verosimile che diventa certezza, senza nemmeno lo spazio per un dubbio, un’ipotesi alternativa, un boh, un ma, un chissà. Noi, me compreso, vittime di un marchio faticosamente costruito. O mafia o niente.
Ricordate il polverone che un paio di mesi fa suscitarono le parole del questore Renato Cortese – “ non ha più un ruolo e probabilmente trascorre la latitanza fuori dalla Sicilia” – su Messina Denaro? Il questore che mette in dubbio l’operatività del latitante per antonomasia, che scardina certezze, che piccona la pietra miliare della nostra militanza antimafiosa, che boicotta un brand a cui siamo terribilmente affezionati come a una madre, un padre, un fratello. Toglieteci tutto, ma non l’illusione che sulle nostre teste, nei secoli dei secoli, continuerà ad aleggiare l’ombra della mafia. Se no che siciliani saremmo?