“Siamo di fronte a un sistema che non riguarda solo Montante, ma a cui tanti hanno dato benevolenza e complicità. Un sistema che è stato protetto. Una protezione che ha attraversato tutti i livelli istituzionali, fino ai punti più apicali”. Lo ha detto Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia, illustrando la relazione conclusiva dopo le indagini interne sul caso Montante.
Nel mirino la gestione di un assessorato, quello delle Attività Produttive, che era una “propaggine degli interessi di Confindustria. Tutto questo con l’intervento della burocrazia regionale. Gli assessori, infatti, cambiano ma ciò che conta è l’aspetto amministrativo. A questo proposito – ha spiegato Fava – abbiamo potuto verificare due metodi utilizzati nei confronti dei dirigenti: quelli da premiare perché disponibili all’obbedienza e quelli che andavano cacciati via. Liste di proscrizione che venivano elaborate a tavolino, in cui si decideva chi avrebbe dovuto lasciare l’assessorato”. Sono stati ribaditi i ruoli chiave di alcuni politici di lungo corso. Ad esempio dell’ex senatore del Pd, Beppe Lumia, chiamato in causa nel corso di più audizioni (tra cui quella dell’attuale governatore Musumeci). Anche se Lumia ha negato qualsiasi coinvolgimento in quella stagione politica: “Escludo nel modo più totale che la presenza di Lumia nel Governo della Regione – ha detto di sé in terza persona – fosse giocata sul piano gestionale. Il mio compito era politico, esclusivamente politico e sa, purtroppo… quando in Sicilia si ha qualche abilità politica è chiaro che le leggende metropolitane fioccano”.
Coinvolti a pieno titolo anche l’ex presidente Rosario Crocetta (“La sensazione è che fosse più un esecutore di progetti che andavano oltre l’orizzonte del suo governo” ha ribadito ieri Fava) e l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano, che – lo ha confermato lui stesso di fronte alla commissione – ha incontrato spesso Montante perché era “un’icona: cioè lui era creduto! E più era creduto, più diventava credibile, e più diventava credibile più era creduto”. Quando lo nominò all’agenzia dei beni confiscata (“Fu una mia idea” ha detto Alfano) non sapeva che Montante era già indagato per mafia: “Se violavano il segreto istruttorio venti giorni prima non lo avrei nominato”.