Un emendamento soppressivo di Claudio Fava al “modello Portogallo”, approvato da Sala d’Ercole con 35 voti a favore e 29 contrari, ha inaugurato la crisi del governo Musumeci, che tuttavia è riuscito a resistere alla prova della Legge di Stabilità. La manovra ha ricevuto il via libera nella notte fra giovedì e venerdì. L’impresa, però, non cancella il dato politico: ossia che la maggioranza non esiste e una folata di vento l’ha spinta con un piede nel burrone. Fava non era in aula per l’approvazione definitiva del documento contabile, ma in congedo per una visita specialistica non rinviabile. Tuttavia, nei giorni scorsi, è stato tra i più fermi oppositori di una Finanziaria “lacrime e sangue” che ha superato l’esame dei numeri solo grazie a un escamotage che, nelle intenzioni di Musumeci e Armao, dovrebbe convincere Roma a cedere sulla rateizzazione trentennale di 382 milioni (191 per il 2019, la cifra che nei piani del governo servirà a rimpinguare i capitoli di spesa).
Onorevole Fava, quei soldi non ci sono. E non ci saranno se a Roma scegliessero di adottare la linea del rigore. E’ una Finanziaria finta?
“Più che finta, da cabaret. Dove le parole possono assumere ogni uso e significato. L’assalto al furgone portavalori non è finanza creativa. Anche se va di moda chiamarlo in questo modo, resta un assalto al furgone portavalori. Giocare con le tre carte per costruire una Legge Finanziaria della Regione è un’operazione piuttosto infantile”.
Non c’è il rischio di indispettire lo Stato?
“Da una parte chiedi allo Stato di spalmare debiti su trent’anni, dall’altro imponi la tua creatività, che non è altro che due dita negli occhi. E’ un comportamento bipolare. Dettato dall’emergenza, lo sappiamo. Ma di questa emergenza il governo si doveva far carico quando emergenza non era, vale a dire qualche mese fa. Questo, però, è solo un dato sovrastrutturale”.
Quello strutturale quale sarebbe?
“Che non ci sono governo, presidente e maggioranza”.
Si spieghi.
“Che la maggioranza non esiste non devo dirlo io: basta guardare le decine di volte che è andata sotto in aula. E’ una rappresentazione plastica e geometrica di numeri che non ci sono. Il governo non c’è perché un governo al quale senti proporre degli emendamenti e bocciare altri emendamenti che lo stesso governo ha proposto, a seconda di quale assessore parli, lascia un messaggio chiaro. E il presidente non c’è perché non c’è. Musumeci in aula è entrato negli abiti di un direttore didattico di fine ‘800, che ogni tanto si presenta in una classe ed elogia o cazzia i bambini dopo aver ascoltato tutti insieme, sull’attenti, la marcia reale dei Savoia. Non funziona”.
Ha preteso lealtà dai suoi assessori e, dal prossimo giro, l’abolizione del voto segreto.
“E’ inutile che ogni tanto faccia queste comparsate in aula per redarguire l’assemblea indisciplinata. Lui dovrebbe venire in aula per un solo scopo: affrontare il rapporto con questa assemblea sul piano politico, dire quello che non ha fatto e le ragioni per cui non l’ha fatto, indicare le forme strutturali, le architravi del nuovo sviluppo della Sicilia. Proporre su questo un confronto con l’aula e prendere atto, se la maggioranza non c’è, che la maggioranza non esiste. E in quel caso tornarsene a casa”.
Non sembra il tipo da abdicare facilmente.
“Continuare a restare a Palazzo d’Orleans, autoassediato e autorecluso come il conte di Montecristo, pensando che l’assemblea regionale serva a riunirsi tra una Finanziaria e l’altra, e basta, con una funzione puramente ornamentale, non va affatto bene. Questa è una stagione politica che vive di pennacchi, maiuscoli, trionfalismi e inni patriottici. Poi, però, ti accorgi che più che una Finanziaria è il bilancio di un’amministrazione di condominio. Non c’è una sola posta strategica, non c’è una sola idea, o una sola sfida. E non c’erano nemmeno i voti per farla passare”.
C’è qualcosa da salvare in questa manovra?
“C’è tutta una serie di spese necessarie, come quelle relative ai servizi sociali, che andavano inserite per forza. Manca l’anima, il disegno complessivo, una strategia che esca fuori dalle spese obbligatorie, cioè quelle che vanno garantite per default. Ecco perché diventa emblematico il milioncino destinato alla norma sul modello Portogallo. Perché quello è il massimo della strategia che il governo è riuscito a elaborare”.
In Sicilia è più un problema di governance o di conti?
“Di governance. I conti sono questi e li conosciamo da tempo. Prendersela con il governo Crocetta, e non tocca certo a me difenderlo, è un’operazione un po’ misera. Crocetta, almeno, ha avuto il merito di aver fatto emergere questi crediti che, in modo truffaldino, i vecchi governi usavano per gonfiare il bilancio della Regione. Sono delle operazioni contabili che si conoscevano da tempo. Manca la governance nel senso che manca un progetto. Ci sono svariati esempi che lo dimostrano”.
Ce ne dica uno.
“Prenda questo articoletto sul modello Portogallo. E’ un ossimoro in una Regione che ha il più alto tasso di studenti (il 27%) che scelgono, senza esserne costretti, ma per determinazione, per opportunità, per diversa qualità dello studio, di andarsene a studiare fuori dalla Sicilia. Si pensa di ribaltare questa dispersione di risorse con qualche forestiero che viene a pagare un po’ di tasse? Anche i peggiori governi una visione strategica – seppur malata – l’avevano. L’aveva certamente Nicolosi, l’hanno avuta persino Lombardo e Cuffaro. Si poteva non condividere, e non era da me condivisa, ma c’era un’idea alla quale affidavano la loro stagione di governo. Qui c’è il signor direttore didattico che ogni tanto si presenta in aula, minaccia le dimissioni, fa un discorso risorgimentale e poi ci si vede tutti alla prossima Finanziaria. Sembra di vedere gli impiegati in mezze maniche, con gli occhialini da presbite, penna e calamaio, terga sulla sedia, che tengono i conti dei giornaletti siciliani”.
Siamo sempre lì: che fine hanno fatto le riforme?
“Sono andato a rivedere le dichiarazioni programmatiche della campagna elettorale. Questa coalizione era partita con dei progetti roboanti, determinati, rivoluzionari nella loro funzione e nel loro obiettivo. Ma oggi non ce n’è traccia. Non troviamo traccia di un solo disegno di legge portato in aula dal governo per accompagnare queste svolte sociali”.
Ma come si fanno le riforme senza i numeri?
“Non hanno i numeri? Vadano a casa. Qui nessuno è costretto a fare questo mestiere. Non è che aver ricevuto i voti per governare ti condanna a una funzione di governo se i numeri in aula non ce li hai. Sarebbe più dignitoso”.
Eppure il Movimento 5 Stelle aveva offerto una nuova prospettiva di governo. Salvo tirarsi indietro 24 ore dopo.
“Scontiamo anche l’assenza di una opposizione all’altezza di questa funzione. Sentire i Cinque Stelle proporre per la seconda volta un governo tecnico a Musumeci è ridicolo. E’ come se questi ragazzi avessero vissuto su un altro pianeta e o visto dei film che poco hanno a che fare con la condizione attuale della Sicilia. La Sicilia è un luogo dove hai bisogno di una funzione politica, non di tecnici che ti mettono in ordine quattro norme e quattro cifre. Tutte le scelte di strategia hanno bisogno di un indirizzo politico. Immaginare che si possa governare la Sicilia con un gruppetto di consulenti, esperti e commercialisti, è un’idea da fumetto. O forse svela un’ansia di governo che da Roma si sta spostando lentamente in Sicilia. Ne verrebbe fuori un inciucetto”.
Poi, forse spinti dalla base, hanno fatto un passo indietro.
“E’ tutto un giochino. Fanno la proposta, attendono che Musumeci dica di noi, poi rinunciano… Ma è tutta l’impalcatura complessiva del ragionamento che non regge. Il governo Musumeci non lo incalzi dicendo di fare un governo tecnico, ma pretendendo di andare a vedere le carte. Che in realtà non ci sono. Perché le promesse stanno a zero”.