A Leoluca Orlando, sindaco e santone di Palermo, abbiamo perdonato tutto. Abbiamo dimenticato la sua antimafia estrema e il dissennato teorema del sospetto come anticamera della verità; gli insulti al giudice Giovanni Falcone e il linciaggio di quell’uomo mite e illuminato che rispondeva al nome di Leonardo Sciascia. Gli abbiamo perdonato le piroette politiche e tutte le smaccate pratiche clientelari; i giochi perversi per smarcarsi dalla Dc e quelli, altrettanto spregiudicati, per impadronirsi del Pd. Ma le scempiaggini su Palermo, quelle no. Altro che visione del futuro, giaculatoria che ripete da trent’anni. La città è perduta, irrimediabilmente perduta e maleodorante. E su questo l’eterno Orlando non può più essere perdonato. Nemmeno se rendesse una pubblica confessione dicendo: “Io il sindaco non lo so fare”.