Le mani in tasca di Fico, d’accordo. Le mani in tasca del presidente della Camera durante l’inno di Mameli il 23 maggio a Palermo, con l’aggravante di avere accanto il sindaco che la mano l’aveva invece sul cuore, secondo protocollo. Scandalo, vergogna, scarso senso delle istituzioni e vi confesso che a prima vista la cosa ha infastidito anche me che trovo l’inno di Mameli brutto e non conosco le parole e quelle poche che conosco mi paiono stantìe, vecchie, ammuffite.

Ma non sono un modello di patriottismo, lo riconosco. Sono di quelli che si emozionano semmai all’inno francese o tedesco o americano, infinitamente più belli e sinfonici, e poi vuoi mettere l’inarrivabile sciovinismo dei cugini francesi, il vago senso di superiorità dei tedeschi – Deutschland über Alles – e poi gli americani ma vabbè che ve lo dico a fare, gli americani sono gli americani.

Ma non divaghiamo, parlavamo delle mani in tasca di Fico. Che forse per tenere fede al personaggio che s’è costruito ha ritenuto fin troppo convenzionale la mano sul cuore tirando fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro: la foto del belloccio che all’appuntamento istituzionale se ne va in giro fischiettando come fosse a un vernissage o all’aperitivo del venerdì sera.

Epperò, e lo dico da non iscritto al partito dei grillini entusiasti, vorrei a volte che lo stesso spirito guerresco, la stessa rabbia iconoclasta, lo stesso furore schiumoso, la riservassimo, oltre che all’istantanea di un politico che s’è lasciato prendere la mano da questo malinteso senso della modernità, alla sua eventuale incapacità nel rivestire il ruolo, alle eventuali grossolanità concrete che ci riserverà, all’inadeguatezza di cui mi pare essere – e dio sa quanto mi piacerebbe essere smentito – portatore sano.

A volte ho il sospetto che la celebre massima secondo cui la forma è sostanza sia stata coniata apposta per giudicare la forma, appunto, e mai la sostanza, come una sorta di trucco che ci allontana dal cuore delle cose per portarci ai margini dei problemi, fuori area, magari (appunto) alle mani in tasca di un politico presuntuso e pieno di sé durante l’inno suonato per la cerimonia solenne.

Alzi la mano chi sarebbe disposto a perdonargliela in cambio di una magia, un colpo di genio alla Lionel Messi, un inatteso senso della politica e delle istituzioni, una competenza spiazzante. Mi porto avanti e mi gioco pure il jolly: gli perdonerei non solo le mani in tasca, ma anche la stucchevole sagra dei viaggi in autobus col fotografo di corte al seguito.