Il nuovo questore di Reggio Calabria porta un cognome illustre: quello di Alessandro Giuliano. Ex capo della Squadra Mobile di Milano, è il figlio di Boris Giuliano, che nel 1979 fu freddato da Leoluca Bagarella all’uscita di un bar dove aveva appena consumato un caffè. Anche papà Boris era il capo di una Mobile, quella palermitana. Il suo rigore e la sua lotta alla mafia finirono col costagli la vita. Per il suo omicidio furono condannati all’ergastolo, nel 1995, i principali esponenti di Cosa Nostra. Da Totò Riina a Bernardo Provenzano, passando per lo stesso Bagarella cui fu riconosciuto il ruolo di autore materiale del delitto.
Anche Alessandro, 51 anni, ha scelto di seguire le orme del padre: palermitano di nascita, ha iniziato la sua esperienza negli anni ’90 nella volante di Milano. Ha diretto anche le squadre Mobili di Padova (dove si è occupato del serial killer Michele Profeta, arrestandolo) e Venezia, compreso un passaggio a Roma e Napoli. Nella Capitale era tornato di recente con un incarico illustre: quello di direttore dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (da marzo 2017). Che adesso lascerà per prendere servizio a Reggio, dove subentrerà a Raffaele Grassi. E’ stato anche questore di Lucca.
Papà Boris, una delle vittime sacrificali della mafia, ha ricevuto post mortem una medaglia d’oro al valor civile perché “pur consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, con alto senso del dovere e non comuni doti professionali si prodigava infaticabilmente nella costante e appassionante opera di polizia giudiziaria che portava all’individuazione e all’arresto di pericolosi delinquenti, spesso appartenenti ad organizzazioni mafiose anche a livello internazionale”.
In un’intervista a Repubblica di qualche anno fa, Alessandro esaltava le doti umane di papà Boris: “Quando in questura a Palermo arrivava un bambino povero che si era perso, lui lo portava a casa nostra. Invece di lasciarlo ad aspettare negli uffici freddi in mezzo ai calcinacci, come era prassi in quegli anni, lo accompagnava da noi. Suonava il campanello e lo presentava a me e alle mie sorelle. Così, per dargli un conforto. Ne ha lasciati due, di messaggi. A me e a tutte le nuove generazioni che fanno questo mestiere. Bisogna scegliere di fare il proprio dovere fino in fondo. E si può essere poliziotti senza dimenticarsi di essere uomini”.