Si muovono ormai quasi alla stregua dei giapponesi nella giungla dopo la guerra. La Forza Italia siciliana di rito miccicheiano è l’ultimo baluardo di quell’idea popolare-liberale del partito che fu, e che si avvia a essere fagocitato dalla Lega nella nuova era del populismo di potere. L’ultimo capitolo riguarda Stefania Prestigiacomo, già ministra di lunghissimo corso e già amazzone delle quote rosa. La forzista siracusana, vicinissima a Gianfranco Micciché, è salita sulla Sea Watch con altri parlamentari, per vedere da vicino la situazione in cui versano i migranti lasciati a bagnomaria dal governo al largo di Siracusa.
Il linciaggio social dei leoni da tastiera è stato immediato, una raffica di pietrate telematiche ha investito Prestigiacomo, scorticata anche dalle testate della destra. “La Prestigiacomo sale sulla Sea Watch. E poi si stupiscono se perdono voti…”, scriveva Nicola Porro. “Prestigiacomo sbaglia rotta. La nonna del Parlamento, parteggia per i migranti”, titolava con la consueta grazia Libero. Si smarcavano anche i forzisti nordisti, quelli che alla Lega guardano forse con un pizzico di interessato affetto pensando al futuro. Intanto, Micciché nella sua escalation polemica con Salvini, paragonava il ministro dell’Interno niente meno che a Hitler. Tacevano, come sempre, i forzisti ex An, quel gruppo con epicentro catanese che si muove come un partito a sé, in un asse robusto con Nello Musumeci nel nome delle sintonie che hanno radici nei bei tempi della fiamma. Quel Nello Musumeci che con Giovanni Toti progetta una “seconda gamba del centrodestra”, da affiancare a quella sovranista di Salvini (quello con cui Micciché non vuole avere niente a che spartire) in un disegno in cui il destino dei giapponesi del baluardo forzista siciliano sembrerebbe più o meno lo stesso di quello dei suddetti guerrieri nipponici negli anni Cinquanta, la scomparsa. La resa dei conti è rinviata a dopo le Europee, con la conta di morti e feriti.