A palazzo delle Aquile, sede del comune di Palermo, e seconda casa di Leoluca Orlando che dalle parti di piazza Pretoria sta portando avanti, con non pochi affanni, il suo quinto mandato da sindaco, bussano in tanti. Ma non sono visite gradite. L’ultima, in ordine di tempo, è del Mef, il Ministero per l’Economia e le Finanze. Che non si è fatto annunciare da nessuno e ha ribadito, a distanza di un paio d’anni dai primi rilievi, la bocciatura dei conti del Comune. Stroncando, di conseguenza, l’operato del sindaco, che proprio non riesce a venirne a capo. Per ben due volte – in vista dell’approvazione del Bilancio consuntivo 2017 e di quello preventivo del 2018 – il Comune è stato commissariato. Per ben tre volte – la prima col Mef, poi con la Corte dei Conti e infine col collegio dei revisori – sono arrivate delle plateali tirate d’orecchie che mettevano in discussione i documenti contabili redatti dagli uffici, ma pensati e vidimati dal “professore” e della sua giunta.
Al termine di una visita ispettiva conclusa a inizio 2017, il Ministero dell’Economia emetteva per i conti pubblici di Palermo 46 diversi “capi d’imputazione”. L’Amministrazione comunale, per difendere il suo buon nome, replicava con 60 pagine di controdeduzioni, che non sono servite a far cambiare idea alla Ragioneria generale dello Stato. Soltanto otto delle prime contestazioni sono state “sanate”. Per il resto, il burocrate Daniele Franco (uno di quelli che l’addetto alla comunicazione dei Cinque Stelle, Rocco Casalino, pensava di far fuori una volta al governo) ha sconfessato le ragioni del Comune e chiesto nuovi documenti. All’orizzonte c’è il rischio di pesanti sanzioni.
Quasi tutti i rilievi mossi dal Mef riguardano le questioni legate al personale. Non convince l’incremento della dotazione organica, il processo di stabilizzazione degli ex Lsu (cioè i lavoratori part-time che ancora oggi vedono rimessi in discussione propri diritti), il conferimento di alcuni incarichi dirigenziali a tempo determinato (senza tener conto di selezioni e commissioni di valutazione), i doppi incarichi (con doppia indennità) di Fabio Giambrone e Diego Bellia, che al contempo risultavano responsabili dello staff del primo cittadino e componenti dei consigli d’amministrazione delle società partecipate.
E quest’ultimo aspetto è senz’altro il più succulento da un punto di vista politico. Tanto che Fabrizio Ferrandelli, leader dei “Coraggiosi” e topo della commissione Bilancio (la definizione è sua), ci si butta a pesce: “Giambrone e Bellia, che erano già responsabili degli uffici, non potevano essere presenti anche nel Cda delle controllate ed essere pagati. La legge nazionale prevede che dovresti prestare servizio a titolo gratuito. Loro hanno continuato e percepire due indennità. Non si sono arresi e non hanno cominciato nessuna procedura di restituzione. Ma sono andati avanti, scagliandosi contro la macchina amministrativa e aprendo un contenzioso”.
Chi è andato avanti e non si ferma, rischiando di provocare un danno di non poco conto alle casse comunali, sono i cosiddetti “terminalisti”. Ossia i dipendenti che hanno una funzione di lavoro legata all’utilizzo di un personal computer. Il Comune, su indicazione del Mef, pretende la restituzione delle indennità di tutti coloro che terminalisti non erano, ma sono stati pagati come tali. Ferrandelli anche qui è caustico: “Non è che questi dipendenti ogni 27 del mese se ne andavano in ragioneria, aprivano il cassetto e si prendevano lo stipendio. Ci sarà stato un dirigente che avrà disposto, sulla base delle politiche del personale fatte dal sindaco (Orlando ha detenuto la delega fino al 2017), il pagamento delle indennità. Stiamo parlando di somme erogate: c’è un atto deliberativo, una determina, un impegno di spesa. E’ una consuetudine che si è ripetuta per anni. A pagare non può essere il dipendente, ma chi ha commesso l’errore”.
“Grazie a questa amministrazione – insiste Ferrandelli – la macchina comunale gira con le ruote sgonfie”. Ed è pure un po’ scassata, in base all’ultimo ragionamento del consigliere. Quello che verte sui lavoratori part-time, che dal 2008 (sotto varie nomenclature, Lsu e via discorrendo), vivono da precari nel limbo del palazzo di città. Una fonte inesauribile di risorse, “giovani e fresche”, che mai sono entrate nelle grazie di Orlando. Ma qual è il giallo che ruota attorno a questi “precari” buoni per tutte le stagioni? “Dal 2007, c’era ancora il governo Prodi, lo Stato trasferisce ogni anno al Comune di Palermo qualcosa come 57 milioni di euro su un capitolo di spesa destinato al personale part-time. Noi, piuttosto che inserire queste risorse in pianta organica e valorizzarle, approfittando dei pensionamenti e dell’assottigliamento della macchina comunale, li facciamo lavorare 24 o 25 ore al giorno, facendo venir meno dei servizi – argomenta Ferrandelli -. E’ una generazione che è entrata al Comune alla soglia dei 30 anni e ha conosciuto 15 anni di precarietà. Ragazzi che non hanno una prospettiva di crescita professionale. La prima cosa da fare sarebbe aumentargli il monte ore”. Ma attualmente il Mef ha puntato il dito contro i troppi dipendenti di piazza Pretoria, assottigliando le prospettive.
La procedura di stabilizzazione, con la nuova normativa nazionale, deve completarsi entro il 2019. E solo l’approvazione dell’ultimo Bilancio consolidato renderà possibile (ma non scontato) procedere in tal senso, ridando al personale part-time quella dignità che spetta a chi è reduce da lunghi anni di gavetta: “E lo abbiamo reso possibile noi – allarga il petto Ferrandelli – che ci siamo comportati da veri padri di famiglia e accelerato la tabella di marcia per l’approvazione del documento contabile”.
I meriti del Consiglio comunale, stando al leader dei Coraggiosi, vanno oltre. Ad esempio, uno degli aspetti su cui Il Mef ha promosso il comune, uno dei pochissimi, è la questione dei disallineamenti rispetto alle società partecipate. Roba che da sola valeva 145 milioni: “Nella messa in ordine dei conti ha giovato più il Consiglio che la giunta. Per i disallineamenti era arrivata una grossa bocciatura, ma noi, responsabilmente, a novembre li abbiamo fatti eliminare – ribadisce il leader dei Coraggiosi, che ha da poco sposato la causa di +Europa -. Abbiamo fatto approvare dei bilanci che fossero veritieri. Se il Ministero promuove qualcuno, questo è il Consiglio comunale e l’operato delle opposizioni. Laddove c’è la mano della giunta e dell’Amministrazione i rilievi continuano a essere incombenti. Purtroppo sulle politiche del personale noi non abbiamo alcuna possibilità di controllo. Come per le partecipate: Orlando, per Rap e Amat, si è nominato due manager tenendo conto delle lottizzazioni della politica. Altro che commissioni di controllo, mi viene da ridere”.
Che i rilievi del Mef non siano uno sport nazional-popolare, ma critiche severe che rischiano di condurre a sanzioni – rischiano, nel frattempo, di rimanere bloccare i concorsi per i dirigenti tecnici, la stabilizzazione dei precari invocata da Ferrandelli, i servizi pomeridiani nei musei e negli impianti sportivi – lo ha dimostrato la reazione del sindaco, che ha subito invocato l’intervento dei sindacati e presentato una memoria difensiva a Corte dei Conti e Procura perché “accerti la regolarità sotto ogni profilo del comportamento e delle procedure seguite dalla commissione ministeriale. Deve essere chiaro a tutti che la tutela dei diritti acquisiti dei dipendenti del Comune di Palermo, nonché la garanzia della funzionalità e dei servizi dell’amministrazione comunale, sono per noi la priorità assoluta”.
Ma Ferrandelli allarga le braccia: “Per Orlando la colpa è sempre di qualcun altro. Chissà quale complotto si inventerà stavolta… E’ rimasto negli anni ’90: all’epoca delle vacche grasse, quando arrivavano enormi finanziamenti da Stato e Regione, a un primo cittadino non si richiedeva managerialità ma solo capacità di spesa. Oggi, invece, a un amministratore sono richieste l’ottimizzazione dei costi e dei servizi, di rendere la città competitiva rispetto alla capacità di attrarre capitali da tutto il mondo. Lui non sa fare i conti con questo passaggio epocale. Si trova a proprio agio solo con l’esercizio intellettuale. Non quando ci sono cose che richiedono impegno”.