Alla fine quella domanda mi scappa sempre, “ma tu di che quartiere sei?”, come a volere geolocalizzare i natali del mio interlocutore, senza null’altra ambizione che il gusto di saperlo. Ieri sera ho fatto una lunga chiacchierata con un ragazzo qui al bar, mi ha raccontato della sua vita, del suo matrimonio finito dopo vent’anni, delle due figlie che adora, degli incidenti di percorso che la vita riserva un po’ a tutti. In fondo il mio parco informazioni a quel punto era più che sufficiente, a cosa mi sarebbe servito sapere in quale quartiere era nato e cresciuto? A niente, credo.
Il punto è che per me Palermo è una scacchiera fatta di città dentro la città. È come se il fatto di sapere in quale di questi quadranti immaginari il mio interlocutore si è formato mi servisse a delinearne ulteriormente la figura, una schiocchezza magari un po’ provinciale, ma che col passare degli anni è però diventata una sorta di manìa, vezzo, chiamatela come volete. “E tu di che quartiere sei?”.
Credo di conoscere i quartieri di provenienza non dico dei miei amici – che in fondo è una cosa anche normale – ma anche dei conoscenti o delle persone con cui sporadicamente mi imbatto. Si scoprono cose meravigliose. Michele, un ragazzo che lavora al bar e che con gli anni è diventato anche amico, è originario di un quartiere che si chiama Madonna di Tutto il mondo, che per la maggior parte di voi (e anche per me, prima di saperlo) potrebbe anche essere nel cuore della Silicon Valley.
Col tempo ho addirittura sviluppato una sorta di intuito, un sesto senso che mi porta a indovinare (non sempre, ovviamente) i quartieri di formazione delle persone con cui parlo. Ricordate il tizio di cui vi parlavo all’inizio? Ecco, a un certo punto mi è parso che emanasse delle onde che mi conducevano alla Zisa. Lui parlava, raccontava, e io pensavo questo qui è della Zisa. Le movenze, un certo tipo di dialetto – per assurdo che possa sembrarvi, cambia impercettibilmente da quartiere a quartiere – l’affermazione di certi principi antichi e per certi versi sacri. E io, muto, pensavo: questo è della Zisa.
Alla fine, quando ci siamo congedati, era notte piena, ho espletato il rito senza il quale non avrei potuto prendere sonno. “Senti, ma tu di che quartiere sei?”. “Della Noce, ma i miei sono della Zisa, perché?”. “No, niente, solo curiosità”, gli ho risposto congratulandomi mentalmente con me stesso mentre una brezza di immotivata fierezza mi spingeva sulla via di casa mia.