“Cosa mi importa se il mondo mi rese glacial…” verrebbe da cantargli per prenderlo in giro, a mo’ di parodia. Perché lui gioca a fare lo scettico, il cinico, il disincantato. In realtà è raro trovare un agnostico più desideroso di credere in qualcosa, un finto indifferente così curioso delle cose del mondo da entrarci dentro sfiorandole soltanto con l’ironia, un portatore sano di sarcasmo consapevole che la sua patologia in realtà o è lacrima di commozione pronta a scendere giù con l’aiuto appena di una spintarella oppure sguardo severo, sferzante nei confronti di chi non merita nemmeno un grammo di quell’umana compassione.
Francesco Massaro, giornalista e imprenditore, o imprenditore e giornalista (fate un po’ voi tanto lui mischia le carte con maestria), si difende così dal luogo comune, dal pensiero imperante, dal coro ideologico. Un vaccino, magari fastidioso per via dell’ago, ma sempre salvifico. “Ciccio” è per molti una sorta di diario critico quotidiano (anche se lui riderà sicuramente di questa etichetta schermendosi), un appuntamento imprescindibile per chi segue i suoi post su facebook (bombardati di like e altre emotività grafiche ma anche di più ragionati consensi e manifestazioni di divertita gratitudine) ma pure per chi lo legge sul “suo” Giornale di Sicilia, sulle colonne web di Buttanissima e per chi rimpiange ancora il foglio on line che creò, diPalermo.
Non essendo pretore ma giornalista, dal midollo all’ormai indolente bulbo pilifero, Massaro si cura soprattutto de minimis, ben sapendo che le belle storie, quelle degne di essere raccontate, si annidano proprio nelle piccole cose, che le persone meritevoli di narrazione si acquattano negli angoli del giorno per giorno, nella penombra dell’esistenza, magari per riservatezza o per pudore. Una realtà a volte scrutata clandestinamente, altre osservata con piglio cronistico o addirittura avvicinata, indagata, interrogata in prima persona. L’importante è che lui si stupisca, se scatta il meccanismo sa benissimo come contagiare anche noi tirando fuori quel che di straordinario c’è nell’ordinario. Mi ricorda quando al giornale, nei momenti di calma piatta in cronaca, Nicola Volpes scrutava tra gli annunci economici e quelli delle “buttane”: spesso fiutava qualcosa di originale, se non di strano, e andava a controllare se l’intuizione era giusta.
Ovviamente il bar-pasticceria di tradizione familiare (creato da Adolfo Massaro, suo padre, 61 anni fa) sulla cui tolda adesso Francesco capitaneggia dopo aver lasciato la sua carica da cronista di nera al giornale, è un punto d’osservazione privilegiatissimo. Però ci vogliono occhio, intelligenza e cuore per saper cogliere e virtù per saper trasferire ciò che si coglie in parole. Che l’esito sia poi ironia, sarcasmo, pietas, solidarietà, commozione, indignazione o altro lo fanno le storie e la gente. E il sentimento di chi scrive. Perché tutto questo non restasse nell’effimero mondo dei social, il Giornale di Sicilia ha chiesto a Francesco un paio d’anni fa di inaugurare una rubrica – Chiacchiere da bar – subito fortunatissima, che a volte, pur senza mire socioantropologiche, in 40 righe la dice assai più lunga di un reportage. E dalla rubrica adesso è nato un libro omonimo (edizioni Torre del Vento) che verrà presentato giovedì 29 novembre alle 17 direttamente sul “luogo del delitto”, il bar-pasticceria di via Basile. Potete starne certi: successo garantito, per questo figlio di carta, così come lo è quotidianamente per cannoli e ravazzate. E dal momento che, tra questi ultimi e un caffè, dalle 6 del mattino fin quasi a mezzanotte, va in scena il quotidiano teatro della vita, il nostro “scettico blu” può continuare a prendere appunti ché il volume secondo non è utopistico immaginarlo.