Per giorni hanno tutti sognato e invocato l’unità. Ma l’unità, con la minuscola e pure con la maiuscola, vive solo nei sogni in casa Pd. Dove il fotticompagno è la regola delle regole dalla fondazione, di un partito che è da sempre una federazione mal rattoppata di correnti. Lo era anche la Dc, è ben inteso. Ma potere, cultura politica e Fattore K, erano un mastice ben più efficace per tenere incollati i partiti nel partito che albergavano nello Scudo Crociato.
Nel Pd che sembra sempre più vicino all’implosione, le correnti come monadi senza finestre di leibniziana memoria, restano distinte e distanti. Ci avevano provato quelli che a Roma seguono Nicola Zingaretti a tendere la mano e a porgere il ramoscello d’ulivo a Davide Faraone e ai suoi renziani, interni ed esterni al partito (ci sono pure i riservisti siciliafuristi di Totò Cardinale) a evitare lo scontro e la conta ai gazebo, proponendo a Davide Faraone e i suoi di proporre un nome, una seconda linea magari, da votare tutti insieme. Ci hanno sperato, per giorni, i Lupo, gli Speziale, i Panepinto e via dicendo.
Nisba, hanno risposto i renziani, dove il dado era tratto da un pezzo e dove la voglia di prendersi il partito siciliano, tutto, aprendo anzi spalancando le porte a pezzi di centro e centrodestra in libera uscita e in cerca d’autore è forte e radicata. Dove si guarda a Forza Italia, con sguardi ricambiati (vedi la foto della Leopolda sicula con Micciché), per una stagione antipopulista, dove la sola idea di dialogare con i grillini è considerata blasfemia. E così Faraone corre e si candida a vincere. Per prendersi un partito che dopo le primarie del 16 dicembre sarà ancora più ferito e diviso. In cui la linea tra vincitori e vinti sarà marcata. Ma la linea che porta al futuro resterà ancora sbiadita e tutta d tracciare.