E’ difficile, persino un po’ frustrante, provare a dimenarsi nel mondo politico che Lega e Cinque Stelle hanno ghettizzato da cinque mesi a questa parte. E’ un mondo pallido, dove Silvio Berlusconi, 82 primavere, sembra aver mollato gli ormeggi, e dove il Pd consuma ogni giorno una guerra fratricida, spacciando l’individuazione del nuovo segretario come la panacea di tutti i mali. Ma non è così. Non lo è per Gianfranco Micciché, il presidente dell’Ars che – parole sue – si era costruito un fine carriera “bello e comodo” e mai si sarebbe aspettato di dover tornare in prima linea a difesa di alcuni “valori che davo per scontato”. E’ la civiltà, sotto varie forme: l’accoglienza, l’accettazione delle diversità, il rispetto per gli altri. Che di colpo svaniscono sul molo di Catania (il “sequestro” della Diciotti) o al Circo Massimo, dove Grillo – è storia recente – arriva a insultare persino i bambini autistici.
E’ quel momento della storia dove si può tutto, dove vince (in senso letterale) chi la spara più grossa. Dove non si fa nemmeno la conta dei feriti, perché ciò che conta è affacciarsi sui balconi o “sfondare” sui social. Micciché prova a remare controcorrente, ma si sente solo. Vorrebbe trovare una soluzione, ma è confuso e lo ammette: “A me non interessa diventare l’anti-Salvini. Ma sono seriamente preoccupato per quanto sta avvenendo. Dopo tanti anni di impegno politico, mi ritrovo di fronte a dei problemi ideologici che non c’entrano nulla con la destra e con la sinistra. Bisogna trovare delle regole comuni e reagire a questa deriva”.
La svolta è arrivata dal caso Diciotti in poi è di recente si è concretizzata in alcune esternazioni simboliche: come l’accoglienza a palazzo dei Normanni del ragazzo senegalese picchiato a Partinico. Per lui ci sarà uno stage di due mesi nelle cucine dell’Ars…
“Credo sia obbligatorio dare dei segnali. Perché almeno quelli che mi conoscono devono sapere come la penso. Anche ai tempi di Mussolini c’era un certo ottimismo e nessuno pensava di poter andare così oltre… Io avverto il rischio che accada qualcosa di negativo. Per questo invito le persone “pensanti” a mettersi insieme. Ma non mi interessa fare un partito. Bisogna fare disperatamente qualcosa che dia un minimo di speranza a questo Paese e che serva a trovare una soluzione”.
Il suo, mi sembra di capire, è un appello accorato e intriso di pessimismo
“In realtà sono gli eventi che mi fanno essere pessimista. Siamo di fronte a due persone che rappresentano i partiti maggiori, due leader violenti: Salvini e Grillo. Uno parla a sproposito di immigrazione, l’altro arriva a sostenere che la disgrazia italiana sono i bambini autistici. Ho ancora una piccola speranza, perché siamo un paese democratico. Ma sto perdendo anche quella”.
Alla Leopolda di Faraone si auspicava di “trovare una strada insieme contro i populismi”. Come si realizza?
“In realtà non lo so bene. Di fronte a questa situazione mi sento frastornato, e le assicuro che non si tratta del sonnellino pomeridiano che ho appena fatto. Solo che si sta perdendo tempo. Prendete il Partito Democratico: stanno cercando un nuovo segretario tra le persone che lo hanno ridotto in questo stato. Non so se è meglio Minniti o Zingaretti. Mi sembrano facce della stessa medaglia. Questo Pd è una delusione: vedo tanta voglia di apparire ma senza proporre nulla di importante”.
Adesso ne parla male, ma qualcuno – dopo il picchetto e il discorso ai sindacati sul molo di Catania – ha proposto lei come segretario del Pd, almeno in Sicilia. La dà fastidio che il suo nome sia accomunato ai “dem” sempre più spesso?
“Non mi dà fastidio per niente. Io avevo pensato a costruirmi un fine carriera così bello e comodo, con la presidenza dell’Ars, e invece mi trovo a fronteggiare una crisi di valori senza precedenti. Non credevo potesse succedere e invece è successo. Ma io penso: se non sono io a difendere questi valori, a me chi mi difende? Oggi la mia scelta non è fra destra e sinistra. Ma ciò che mi impongono la logica e l’etica. Io non mi sento di andare contro i bambini autistici, è una cosa che non sta né in cielo né in terra”.
E Forza Italia ha il suo stesso umore?
“Spero di sì, altrimenti saremmo messi male. Sono sicuro che anche il mio partito non possa prescindere da certi valori. In politica si pensa a governare, quindi è anche naturale che nascano ragionamenti sul fare o meno accordi con la Lega. Ma immaginare che di fronte a una deriva simile nessuno di Forza Italia intervenga, beh, non ci posso credere”.
Al di là dell’imbarazzo e della confusione, su quali regole si basa questa ricetta per contrastare il populismo?
“Di certo non possiamo risolverla chiamando Amnesty International… La mia domanda è rivolta a tutti: ci rendiamo conto, oppure no, di costa sta succedendo? Esiste questa consapevolezza o è solo una minchiata di Micciché? Se una parte di Forza Italia smettesse di pensare a Salvini e capisse che c’è un problema serio da risolvere, saremmo già sulla buona strada. Se il Pd cominciasse a ragionare in modo serio, smettendola di pensare a chi deve essere il successore di “niente”, cioè un altro “niente”, sarebbe un passo avanti. E poi che fine hanno fatto gli intellettuali italiani? Quelli che per anni hanno rotto le palle su questioni inutili che nessuno capiva? Dove sono, ora che c’è bisogno anche di loro? Qualcuno ha idea di cosa fare?”.
E lei che ruolo recita in tutto ciò?
“A me non interessa travestirmi da anti-fascista, né posso interpretare il “partigiano Miccichè”. Non potrà mai esserci il partigiano Micciché, ma serve qualcosa al suo posto. Perché oggi mi sento in pericolo”.
Può partire dalla Sicilia questa reazione?
“Deve. La Sicilia è il posto più adatto. Qui conosciamo i meccanismi, e nessuno può insegnarci sulla sui temi migratori. Ricordo sempre a tutti che nel mondo ci sono 60 milioni di siciliani e solo 5 milioni vivono in Sicilia. Gli altri 55 milioni sono emigrati. Siamo troppo esperti in materia”.
Allora lanciamo questo appello?
“Esiste o no il problema? Che qualcuno parli… Io mi sento molto solo in questa battaglia. Vi giuro che non la sto conducendo per ritagliarmi il ruolo di nuovo segretario del Pd (sorride). Non era questo che volevo quando ho iniziato la battaglia contro il populismo. La cosa che avverto e che mi preoccupa è il pericolo del non-impegno”.
Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, con il quale vi siete visti di recente, può essere una sponda?
“Ci siamo visti per parlare di cose serie, non di sottogoverno come sostiene qualcuno. E comunque penso che per sconfiggere questo meccanismo ci voglia qualcosa di molto nuovo. Non ci credo che due persone come me e Orlando, caratteri fra l’altro molto diversi, possano rappresentare la salvezza”.