Un gioiello architettonico di Siracusa, “ma privo di interesse culturale” secondo la Soprintendenza e il Tar, non esiste più. Le ruspe sono entrate in azione di notte per demolire Villa Abela, la residenza liberty anni ’20 che sorge – o sarebbe meglio dire, sorgeva – di fronte a Ortigia, vicino a un antico complesso di latomie greche. L’Amministrazione comunale del sindaco Italia, capeggiata in questo caso dall’assessore ai Beni Culturali Fabio Granata, aveva tentato di salvarla con un atto di indirizzo, che in una prima fase la Soprintendenza aveva accolto, ponendo sull’edificio un vincolo temporaneo. Che poi è stato rimosso.

Il nuovo progetto di un complesso di lusso a quattro piani, che porta in calce la firma di una società immobiliare che ha acquistato Villa Abela da privati, è infatti compatibile con l’area. E anche il Tar, nel 2017, aveva affermato che i lavori si potevano fare. La decisione degli organi competenti e il silenzio dell’assessorato regionale ai Beni Culturali, quello di Sebastiano Tusa, ha mandato per aria i piani di Granata, che è anche stato assessore regionale al ramo e di Tusa è ottimo amico. Ma stavolta ha scagliato saette a destra e a manca, perché proprio sul mantenimento di Villa Abela aveva puntato forte: “E’ un’offesa grave al tessuto paesaggistico, archeologico e architettonico della città. Gli enti preposti alla tutela del patrimonio si sono mostrati ondivaghi e contraddittori e hanno saputo tutelare solo le responsabilità pregresse e interne ai loro uffici. Non mi risultano analisi morfologiche alla struttura per garantire che non ci siano collegamenti con le altre latomie e con le catacombe di San Giovanni”.

Ma la villa, secondo la soprintendente Aprile, non risulta di valore culturale, mentre il costruttore Massimo Riili ha invitato Granata alle dimissioni, perché reo di usare questa vicenda “per farne un cavallo di battaglia e acquisire un consenso politico perduto”. Mischiare il tornaconto politico e l’amore per il territorio, o con qualsiasi altra cosa, non è mai un grande affare. Questa storia lo dimostra.