Dagli uffici della piccola procura di Caltanissetta, negli ultimi anni, sono passati faldoni d’inchiesta pesantissimi. Nel 2008 – è tuttora aperto – quello che riguardava il depistaggio più incredibile della storia d’Italia (e di Sicilia), che aveva come protagonista la morte del giudice Borsellino; nel 2015 quello legato alla giudice Silvana Saguto, e lo smascheramento del suo cerchio magico; e, storia di pochi mesi fa, tutto l’incartamento relativo al caso-Montante, l’ex capo di Sicindustria finito in carcere con l’accusa di corruzione.
Una bella gatta da pelare per il procuratore capo Amedeo Bertone, che proprio ieri ha ricevuto una lettera d’intimidazione con proiettile al seguito. Davvero un bel “riconoscimento” al lavoro di una Procura che si batte con casi scottanti e pesantissime carenze d’organico. Lo stesso Bertone, oggi, ha un solo vice (Gabriele Paci), mentre il secondo è stato destinato ad altro incarico e il Csm non bandisce ancora un concorso per la sua sostituzione. Ma torniamo al proiettile e alle minacce: il messaggio, secondo i bene informati, è di quelli raffinati. Legato, da un filo rosso neanche così sottile, a quello che qualche giorno fa raggiunse il presidente della Commissione regionale antimafia, Claudio Fava.
Entrambi i proiettili (calibro 7,65) sono stati recapitati venerdì scorso. Ma trovati in giorni differenti per via degli impegni, differenti, dei due. Bertone, occupato da una serie di interrogatori, ha aperto la sua busta da poco. Il legame è Antonello Montante, su cui indagano sia il pm che il politico (sebbene in modo differente). L’anonimo, secondo quanto riportato da Repubblica, incita Bertone ad andare avanti contro “l’antimafia di facciata” perché “bisogna fare emergere questa merda”. Sì, ma il proiettile… “Non mi fermo – ha replicato il pm – Vado avanti nel lavoro, con tutto il mio ufficio”. Ha ricevuto la telefonato del Guardasigilli Alfonso Bonafede, la solidarietà di Salvini e una chiamata anche dal vice-presidente del Csm, Ermini.
Bertone, che è stato sostituto procuratore per circa vent’anni al Tribunale di Catania, ha trovato e fatto condannare i responsabili dell’omicidio di Pippo Fava, il giornalista papà di Claudio. Tra i filoni d’inchiesta su cui lavora ce ne sono ben sei che riguardano le stragi del ’92. Il tentativo è scoprire i “concorrenti esterni” di Cosa Nostra. Non solo. Il suo ufficio inquirente, nei giorni scorsi, ha ottenuto il rinvio a giudizio dei tre poliziotti che sarebbero implicati nel depistaggio di Via d’Amelio, nella tragedia che costò la vita a Borsellino, di cui non si trova l’agenda rossa. E poi c’è Montante. E poi c’è la Saguto. E poi c’è una giustizia piena d’insidie e un giudice povero di collaboratori.