Fa ironia, Elisa, sua moglie, su Facebook: “Da ora in poi posso chiamarlo tesoro”. Chissà quante volte l’ha già fatto invece, anche se noi non ce ne siamo accorti. Perché, nonostante l’affetto sodale e l’abnegazione totale – vita e lavoro un tutt’uno – lei e Mimmo, il marito, non hanno mai mostrato in pubblico troppe inclinazioni a sdolcinatezze. Anche se gli occhi hanno spesso parlato più dei gesti.
Lui l’artista, strambo, originale, ora focoso e un minuto dopo umbratile come gli artisti tutti, egocentrico e dimentico delle cose del mondo quotidiano, un altro pianeta, una galassia a sé; lei, “grande donna” che luogo comune vuole stia quasi sempre “dietro a un grande uomo”, un carrarmato in quel terreno minato dove i confini tra matrimonio e arte sono tracciati da un filo sottilissimo, quella con i piedi per terra. Sì, qualche “tesoro” le sarà pure scappato, in questi decenni. E comunque da ieri, oltre che quella che le conferisce il titolo di moglie, Elisa Puleo ha una ragione in più per dire “tesoro” al marito Mimmo Cuticchio, visto che il puparo più conosciuto dell’orbe terracqueo “tesoro” lo è ufficialmente, per pubblico decreto. Anzi, ad esser precisi, secondo protocollo, “tesoro umano vivente” nel Reis, acronimo che vuol dire Registro delle eredità immateriali della Sicilia.
Tesoro dunque “ai sensi dell’articolo…”, “su proposta di…” “nella seduta della Commissione riunita il…”, “istituita con…” eccetera eccetera… Al di là del protocollo, è comunque un bel titolo per l’oprante ribelle, per il fiero gigante normanno, lunga chioma, grande barba e occhi spiritati che ha regalato visibilità universale ai paladini riportandoli nuovamente in vita oltre la tradizione e lo spazio dei teatrini, che li ha trascinati per il mondo, dalle aule degli atenei più lontani ai teatri più prestigiosi dell’Occidente e dell’Oriente, che si è trovato “dottore” e “professore” suo malgrado e forse anche a dispetto della sua anima di teatrante quasi mai accondiscendente, acquiescente, doma, che ha ispirato poeti e compositori contemporanei, che ha “osato” – lui con i suoi pupi – condividere il palcoscenico con quartetti d’archi o grandi orchestre o con attori navigatissimi fino a ripercorrere nei mesi scorsi il sentiero di Roncisvalle coi suoi paladini, che sarà – lo si può immaginare – il sogno non tanto segreto di ogni puparo.
Da quando a Parigi, nel ’68, dopo alcuni spettacoli all’Istituto Italiano di Cultura, scese dal treno che lo doveva riportare a Palermo lasciando in asso il padre, il grande Giacomo, minacciato di scomunica (“non me la sento, papà, qui c’è aria nuova, voglio restare qui, se faccio un buco nell’acqua torno al teatrino”) a quando Ronconi l’anno dopo lo volle a Spoleto per l’ “Orlando furioso”, da quando capì che i pupi avrebbero potuto recitare Shakespeare e altri grandi classici o anche autori moderni e non solo i canovacci della tradizione sul ciclo carolingio, a quando realizzò forse il suo più grande sogno, il “suo” teatrino, il “suo” laboratorio all’Olivella, in via Bara, dove hanno convissuto Rinaldo e San Francesco, Angelica e Macbeth: il “tesoro” è stato, nei suoi 70 anni di vita e 60 d’arte, un flusso inarrestabile e spesso l’inconfessato incubo della “grande donna”, la moglie del “tesoro” (ufficio stampa, organizzatrice di tournée e di residenze teatrali o universitarie, incombenze burocratico-economiche: tutto quello che è estraneo ad un artista, vivaddio!) è stato che il suo, di tesoro, si svegliasse ogni mattina, al suo fianco, con un’idea e un progetto nuovi per la testa.
Adesso lei scherza, sui social, per il pubblico attestato, annunciandolo però con l’amore e l’orgoglio di sempre, sicuramente con occhi ancora più luminosi di quelli che ha sempre avuto, nonostante i “tesori” siano difficili da custodire e da far brillare.