E’ stato Luca Sbardella, il commissario mandato da Meloni per rianimare un partito diviso in correnti, a imporre a Schifani una mini-proroga di cinque mesi (anziché i due anni previsti) per Salvatore Iacolino alla guida del dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato della Salute. Casualmente Fratelli d’Italia è il principale contender di Forza Italia per accaparrarsi quella poltrona: già da tempo vorrebbe riempirla con Mario La Rocca, che è già stato alla guida del dipartimento. Ma non è questo il tema; o meglio, lo è solo in parte. Ciò che è palese, invero, è la capacità dei patrioti di condizionare l’operato del presidente della Regione, diventando un alleato ingombrante quando c’è del potere in ballo.

Iacolino, che avrebbe dovuto trainare questa sanità stanca per completare gli investimenti previsti dal Pnrr, avrà soltanto cinque mesi a disposizione. Come una specie di traghettatore. Poi dovrà farsi da parte e lasciare vacante la posizione, che nel frattempo andrà assegnata attraverso un atto di interpello “interno” (sempre che si riesca a individuare un profilo adeguato). “In questa occasione ho manifestato dei dubbi su qualche aspetto formale che mi era stato segnalato”, ha detto Sbardella, parlando dell’ultima conversazione con Schifani. Poi ha messo giù il telefono e gli uffici, popolati da funzionari un po’ maldestri, hanno infiocchettato la pessima figura a carico del governatore.

Ad Antonino Belcuore, commissario della Camera di Commercio del Sud-Est, restano quattro mesi, invece, per ricostruire gli organi camerali e abbandonare il timone. Nel frattempo ha dovuto sospendere le nomine della Sac, cioè la società di gestione dell’aeroporto “Bellini” di Catania. Anche qui il diktat è partito da Fratelli d’Italia, che vorrebbe sbarazzarsi della catena di comando azzurra: il filo che lega l’ad di Sac, Nico Torrisi, e il deputato acese di Forza Italia, Nicola d’Agostino, impone un cambio di guardia che va ben oltre i meriti (o i demeriti) e le competenze. “Il rinnovo dei vertici della Sac sarebbe stato sgarbo istituzionale al tessuto produttivo siciliano”, ha detto Sbardella. FdI, stavolta con la complicità del Mpa di Lombardo (da sempre molto critico verso la governance di Sac, sin dai tempi dell’incendio che ha paralizzato per un’estate il traffico su Fontanarossa) l’ha avuta vinta. Prima si ricostituisce il Cda (commissariato da 26 mesi), poi si procede con le nomine nella società di gestione, che è sotto il controllo della Camera di Commercio per oltre il 60%; e infine, se tutto andrà come deve, si sbrigano le carte per la privatizzazione dell’aeroporto (già avviata).

Toccando più o meno gli stessi fili, anche a Palermo la situazione è diventata esplosiva. I patrioti avranno tirato un sospiro di sollievo per le dimissioni di Vito Riggio, questa volta indotte da Schifani (con l’accusa di non possedere “visione”); era stato il partito della Meloni a protestare per la nomina a capo di Gesap del manager di lungo corso, considerato un “uomo solo al comando”; ed è stata FdI a scandire i tempi per la nomina della commissione che avrebbe portato alla selezione del nuovo direttore generale della società, dopo il passo di lato di Burrafato (anche questo in quota FdI). La partita resta apertissima: alla richiesta di Schifani di azzerare il Cda, il sindaco Lagalla, spalleggiato da Fratelli d’Italia, ha risposto picche. Si va avanti a piccoli passi, con la certezza assoluta che per la privatizzazione bisognerà aspettare parecchio.

L’unico processo su cui i patrioti hanno preferito non incidere, costruendo – al contrario – un argine, è l’addio di Ferdinando Croce all’Asp di Trapani. In quel caso è stata la Regione a porre una serie di contestazioni e ad avviare il procedimento di decadenza dall’incarico di Direttore generale, che passa da una sospensione di 60 giorni. Il cauto Sbardella, che talvolta sa diventare risoluto, non ha pronunciato una parola di sdegno per la gestione della vicenda da parte del manager (né per i 3 mila esami istologici arretrati). Croce era il delfino di Ruggero Razza. Non avrebbe potuto fare uno sgarbo all’ala musumeciana del partito, che qualcosa continua a contare dentro e fuori dalla Sicilia. Sarebbe bastato uno schiocco di dita per liberarsi di un peso, e invece no: contrordine, compagni. Croce sarebbe dovuto rimanere finché qualcuno non l’avrebbe cacciato. In questo modo può sperare in un ricorso.

Le ingerenze patriote si sono manifestate in passato e si manifestano tuttora. Come all’Asp di Palermo, altra poltrona colpevolmente vacante dopo le dimissioni di Daniela Faraoni (divenuta nel frattempo assessore). La situazione è stata congelata in attesa di conoscere il futuro di Iacolino, e per altri cinque mesi potrebbe rimanere in stand-by. Speriamo di no, perché ne va della salute dei palermitani. Ma FdI non intende rinunciare a una casella, figurarsi a due. Una volta ottenuto il via libera alla Pianificazione strategica, potrà togliere il veto sull’Asp.

La manifestazione di prepotenza più celebre, però, è andata in scena all’atto di insediamento del governo regionale. Schifani aveva deciso di scegliere dei deputati-assessori, FdI calò dall’alto il nome di due che nelle urne erano stati sonoramente bocciati dagli elettori: quello di Elena Pagana, moglie di Ruggero Razza; e quello di Francesco Paolo Scarpinato, allievo del Balilla. Il secondo è ancora in giunta dopo la pessima figura di Cannes e nonostante la staffetta ai Beni culturali con Elvira Amata. La prima ha fatto spazio alla Savarino, che almeno rispondeva ai requisiti di partenza richiesti dal governatore.

Fratelli d’Italia ha tutte le carte in regola, visti i precedenti, per far oscillare la bilancia da una parte o dall’altra. Non è dato sapere se tra i 18 franchi tiratori dell’altro giorno all’Ars, tutti complici nel sabotare l’iniziativa dell’assessore Dagnino per aumentare gli stipendi ai manager delle partecipate, ci sia qualche patriota. E non è dato sapere se l’idea dei Sbardella, dei Messina, dei Galvagno e dei La Russa, alla fine di questa legislatura, sia offrire una seconda chance a Schifani: al momento dicono di sì, anche se i comportamenti (come il tentativo d’ingaggiare Cateno De Luca) spesso stonano rispetto ai complimenti in pubblico e alle investiture sui giornali. Diceva il vecchio saggio: fidarsi è bene, ma non fidarsi…