Come se non bastassero i vari problemi che attanagliano la sanità, o le condotte colabrodo che trasformeranno anche la prossima estate in una prova di resistenza, ecco la novità (forse non voluta, o forse sì): la Sicilia potrebbe concorrere al piano di rafforzamento della spesa militare italiana, avvicinandosi al 2% del PIL richiesto dalla Nato. Come? Grazie al Ponte sullo Stretto. È l’effetto collaterale della nuova narrazione costruita attorno all’opera dal governo Meloni: non solo infrastruttura civile, ma progetto “strategico nell’ottica della difesa europea e della Nato”. La Regione ha deciso di destinare 1,3 miliardi di euro alla realizzazione del collegamento stabile con la Calabria, attingendo ai fondi di Sviluppo e Coesione. Un investimento presentato come volano di crescita, ma che rischia di assumere un significato assai diverso.
Le ultime novità emergono dalla relazione recentemente trasmessa alla Commissione europea, anticipata da Repubblica, con cui l’esecutivo intende giustificare l’urgenza della realizzazione e, al contempo, cercare di superare gli ostacoli normativi legati all’impatto ambientale. Il documento – firmato dalla premier e dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini – definisce il Ponte “imperativo e prevalente per l’interesse pubblico”, anche per ragioni di sicurezza e difesa. Si afferma esplicitamente che l’infrastruttura è “fondamentale in caso di scenari di guerra per il passaggio di truppe e mezzi”, sottolineando come “l’aumentata connettività della Sicilia rispetto al resto del Paese e dell’Europa” abbia “chiare implicazioni geopolitiche”.
Ma è l’idea di inserire il Ponte nel perimetro della spesa militare – sfruttando l’appoggio, o almeno la tolleranza, dell’Unione Europea – il nodo più controverso. La relazione evoca esplicitamente il Military Mobility Action Plan dell’UE, volto a rafforzare la capacità di spostamento rapido delle truppe sul territorio europeo. In tale cornice, si legge, “il Ponte sullo Stretto si inserirebbe perfettamente […] fornendo un’infrastruttura chiave per il trasferimento delle forze Nato dal Nord Europa verso il Mediterraneo”. L’argomento è ulteriormente rafforzato dal riferimento alla rete di basi militari presenti nel Sud Italia – da Sigonella ad Augusta, da Trapani a Catania – che, grazie al Ponte, verrebbero collegate via terra alla base di Napoli e al resto d’Europa.
Il governo italiano punta così a trasformare un’opera storicamente discussa in uno strumento di legittimazione strategica, che potrebbe addirittura contribuire a far salire l’investimento nazionale per la difesa, attualmente sotto la soglia del 2% del PIL richiesta dalla Nato (il tema è stato affrontato da Meloni anche durante l’ultimo vertice alla Casa Bianca con Donald Trump). L’obiettivo non detto: “gonfiare” le spese militari nazionali, facendole rientrare in ambiti tecnicamente affini ma concettualmente distanti dalle finalità strettamente belliche.
Un’operazione che Huffington Post, attraverso l’analisi di Federica Olivo, ha definito rocambolesca. Anche perché l’Alleanza Atlantica, come ricordano fonti militari, non si accontenta di semplici artifizi contabili: “Quando la Nato chiede di aumentare la spesa militare, fa delle richieste ben precise, articolate in pacchetti. Controlla, non si accontenta di escamotage”. L’idea che una grande opera infrastrutturale civile – pur logisticamente utile – possa valere quanto l’acquisto di carri armati o di sistemi antimissile, rischia di restare nel campo della finzione contabile. “Una volta un ministro dei 5 Stelle aveva proposto di includere la polizia municipale nel budget della difesa. La proposta ha suscitato molta ilarità”, ricorda una fonte citata da HuffPost.
Ma l’esecutivo tira dritto. E Matteo Salvini, cogliendo anche l’occasione offerta dalla recente classifica Eurostat che vede Sicilia e Calabria tra le regioni europee con il più basso tasso di occupazione, rilancia: “Il Ponte sarà una rivoluzione positiva, con almeno 120.000 nuovi posti di lavoro che garantiranno, per anni, sviluppo e benessere da Sud a Nord. Sono determinato ad andare fino in fondo, dopo decenni di chiacchiere, per dare futuro e speranza a migliaia di giovani e di imprenditori anche del Mezzogiorno”. Un messaggio costruito a metà tra propaganda e narrazione salvifica, che non convince l’opposizione. Giuseppe Conte ironizza: “Abbiamo anche il nome: il Ponte del Riarmo. Un consiglio per medici e infermieri: se indossate una mimetica vi arriveranno soldi e assunzioni”.
In questo contesto, la posizione della Regione assume un ruolo tutt’altro che marginale. Destinare oltre un miliardo di euro di fondi Fsc – teoricamente rivolti alla riduzione dei divari territoriali – a un progetto che viene ora presentato anche come tassello della strategia militare nazionale e continentale, solleva interrogativi politici rilevanti. Soprattutto in una terra dove scuole, ospedali, trasporti locali e infrastrutture di base restano largamente inadeguati. Il sogno infrastrutturale di Salvini continua, tra promesse occupazionali e incastri strategici. Ma il Ponte, ancora una volta, più che unire, divide. E mentre l’Europa valuta, l’Italia si ritrova a costruire un’opera pubblica che potrebbe diventare privata di senso. A proposito: i cantieri apriranno a breve. Quando, però, non è dato saperlo. Occorre prima il parere del Cipess.