Nessuno sa come si vota, anche se molti, quasi tutti, sanno di non votare. Mancano dieci giorni alla (semi) farsa delle elezioni provinciali. La prima volta, dopo dieci anni e oltre di commissariamento (a cui la Consulta ha messo un freno), per eleggere i presidenti dei sei Liberi consorzi e i nove consigli provinciali, compresi i tre delle Città metropolitane. Qui i sindaci eletti continueranno a fare i presidenti: Lagalla (Palermo), Trantino (Catania) e Basile (Messina).

Ma in tutti gli enti d’area vasta, come per magia, torneranno di moda le “poltrone”. Si eleggono 18 consiglieri nelle città metropolitane oltre gli 800 mila abitanti (come nel caso di Palermo e Catania); 14 a Messina, 12 ad Agrigento, Ragusa, Siracusa e Trapani, 10 a Caltanissetta ed Enna. Per un totale, compresi i sei neopresidenti, di 124 caselle da riempire. Per questo l’attesa è spasmodica. Un posto di sottogoverno non si nega a nessuno e certamente non si regala agli avversari. Potenzialmente, neanche a un alleato. E’ questa l’ultima moda nel centrodestra, che si presenta spaccato quasi ovunque: l’ambizione supera le ragioni dello stare insieme (parafrasando il politichese più abusato).

La Legge Delrio, in vigore dal 2014, prevede elezioni di “secondo livello” in nome della spending review. E’ passata una vita, al governo c’era niente meno che Matteo Renzi, e Delrio era ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Arrivò prima di lui Rosario Crocetta, che decise per l’abolizione degli enti intermedi durante una ospitata da Giletti (al tempo su La7). Con una spolverata di populismo, l’ultimo presidente di centrosinistra finì per annientare non solo la rappresentanza istituzionale all’interno di questi organismi, ma l’idea stessa di governo del territorio. Un’incombenza che è poi ricaduta a metà fra la Regione e i comuni. Basterebbe fare un giro per le strade interne di Sicilia per capire come si siano evolute in trazzere abbandonate.

Se fu un’intuizione giusta o sbagliata, sarà la storia a dirlo. Ma è per effetto della Legge Delrio, e dell’impossibilità di abrogarla in tempi brevi (nonostante le promesse di Meloni e Calderoli), che le elezioni sono specificatamente di “secondo livello”. Significa che alle urne – costituite in un unico seggio per provincia – si recheranno soltanto sindaci e consiglieri comunali. L’Assemblea regionale, con un paio di iniziative abortite sul più bello (a causa dei franchi tiratori) aveva provato a invertire il trend, pur nella consapevolezza che una nuova legge, con la reintroduzione del voto diretto per i cittadini, si sarebbe scontrata sulla probabile impugnativa di palazzo Chigi e della Corte Costituzionale.

Il 27 aprile, quindi, potrebbe diventare la giornata della casta (che elegge se stessa). A Palermo sono attesi al voto i sindaci di 82 comuni, con 1.299 consiglieri comunali al seguito (i dati sono snocciolati nelle linee guida della Regione). A Catania 58 sindaci e 1.058 consiglieri, a Messina addirittura 108 sindaci e 1.476 consiglieri comunali. Questo per fermarci alle Città Metropolitane. Ma è nei Liberi consorzi, le ‘province più piccole’, che si misura la forza delle coalizioni. Attenzione, però: non tutti i sindaci saranno in possesso della stessa scheda. Il colore dipende dalla fascia demografica di appartenenza del proprio comune: si va dal marrone di Palermo all’azzurro di Roccafiorita (emblema dei comuni sotto i 3 mila abitanti). In mezzo ci sono varie tonalità: arancione, grigio, rosso, verde, viola e giallo.

Non è soltanto una questione cromatica: per legge, infatti, ogni singolo elettore esprime un diverso “indice di ponderazione”. Il suo peso elettorale cambia, e c’è una griglia per singola provincia che rende plastiche le differenze. Sarà compito degli uffici elettorali moltiplicare, per ogni fascia, il numero dei voti attribuiti a ogni lista e a ogni candidato per il relativo indice di ponderazione, e in seguito sommare i voti ottenuti in tutte le fasce, così da ottenere un quadro definitivo per poter assegnare il numero di consiglieri a ciascuna lista. Non sarà un’operazione molto semplice e sarà fondamentale il calcolo dei “quozienti” (o “resti”): questa parte ve la evitiamo (anche se è quella su cui hanno puntato maggiormente le liste concorrenti per decidere le candidature).

Le operazioni di voto si terranno domenica 27 aprile dalle 8 alle 22. L’elettore dovrà esprimere una sola preferenza per i consigli metropolitani e provinciali. Nei Liberi consorzi ci saranno due schede: una per il presidente (da barrare) e l’altra per il consiglio. Il voto disgiunto è ammesso e talvolta potrebbe diventare una prassi. Lo spoglio è previsto per l’indomani, alle 8. La notte si friggerà tutti insieme appassionatamente.

L’unico vero momento di coesione di queste elezioni, infatti, è l’attesa. Perché l’accordo è mancato anche fra i partiti tradizionalmente alleati: solo a Trapani il centrodestra ha trovato una quadra. Altrove si è spaccato: in maniera curiosa ad Agrigento, dove l’inciucio fra Forza Italia, Mpa, Pd e Cinque Stelle è malcelato solo dal “civismo”.  A Ragusa la Democrazia Cristiana va da sola contro il resto della coalizione (capeggiata da FdI). A Caltanissetta, addirittura, i partiti sono spaccati al loro interno: trovi pezzi di Fratelli d’Italia a supporto del sindaco del comune capoluogo, Walter Tesauro, e altri pezzi a sostegno del sindaco di Niscemi, Massimiliano Conti. Provincia che vai, schieramenti che trovi. Ma è questa grande confusione, condita da un comprensibile appetito, ad aver distolto la politica siciliana dal suo compito più alto. Almeno fino al 27 aprile.