“Il Consiglio di amministrazione va azzerato, senza ulteriori tentennamenti”, ha detto Schifani chissà da quale pulpito. La Regione, infatti, non controlla una sola azione di Gesap, la società di gestione dell’aeroporto “Falcone-Borsellino” di Palermo. Eppure il governatore ha facoltà di dire quello che vuole (fino a ispirare le dimissioni di Vito Riggio) senza che nessuno intervenga per rimettere le cose al loro posto. Almeno fino a ieri, quando il sindaco Roberto Lagalla si è accorto che il Comune controlla il 31,54% di Punta Raisi e che pertanto, molto più di Schifani, ha il diritto di illustrare strategie e prospettive. “Non ci sono le premesse a mio avviso in questo momento per azzerare la governance quanto invece per procedere alla sostituzione dell’Amministratore delegato”, ha detto un redivivo Lagalla.
Che per la verità era stato l’unico a tenere testa al presidente della Regione per un pezzo della legislatura, prima di acquetarsi e subire passivamente i suoi scatti umorali (compresa l’umiliazione durante il Congresso di Forza Italia al Domina Zagarella, lo scorso ottobre). Sembrava acqua passata e anche la costituzione di Grande Sicilia, con l’endorsement per il secondo mandato di Schifani, era un segnale di pace “imposta”. Sull’aeroporto, però, Lagalla dimostra di recepire le indicazioni del presidente solo a metà. E’ questa la grande notizia in questi giorni in cui la politica si trascina stancamente verso le vacanze pasquali e le elezioni provinciali del 27 aprile.
Schifani, dopo aver “defenestrato” l’Amministratore delegato Vito Riggio all’indomani delle critiche sull’abolizione dell’addizionale comunale per gli aeroporti minori (le dimissioni saranno effettive da mercoledì 16), si era preso la briga di suggerire il repulisti dell’intero Cda, il quale aveva deciso di portare avanti 46 assunzioni e la promozione di una ventina di dipendenti, d’accordo con il collegio dei sindaci (ma non con lui). Prima di poter procedere, serviva – secondo Schifani – la nomina del nuovo Direttore generale di Gesap, per il quale è stata scelta un’apposita commissione esaminatrice dei curricula: in quel caso le frizioni erano state con Fratelli d’Italia.
Ma il piatto forte riguarda Riggio, che Schifani aveva voluto due volte in seno al Cda di Gesap, salvo liquidarlo di fronte al primo accenno di insubordinazione, lamentandone la “preoccupante assenza di visione strategica”. Lo stesso Riggio ha anticipato le dimissioni al 16 aprile. Il sindaco vorrebbe lasciarsi alle spalle quella stessa esperienza perché “la governance aeroportuale ha bisogno di continuità e di certezze, non certamente di lascia e piglia”. Quello che intendeva Schifani, però, è diverso. E il concetto espresso è ben distante dalla “continuità”. Ecco perché fra i due rivali di un tempo si è riaperta una crepa. Nonostante i ramoscelli d’ulivo che Grande Sicilia, fin dalla sua costituzione e nonostante i suoi fondatori (non si può dire che Lombardo e Micciché siano esattamente due estimatori), aveva recapitato al governatore.
In un’altra intervista a un giornale online, Lagalla ha dichiarato l’ambizione di presentare la propria lista alle Regionali, sebbene limitatamente alla provincia di Palermo: comincia a prendere corpo, insomma, un’alleanza che non si fonda sulla totale e completa lealtà nei confronti di chi governa ma che – magari – può rappresentare un sussulto d’orgoglio da parte di chi si ritrova vittima degli attacchi frontali e delle decisioni assunte d’imperio. Dell’ira, spesso, cioè il vero marchio di fabbrica di chi conduce questa Regione. Forse, sottolineiamo forse, quella di Roberto Lagalla e di Grande Sicilia potrebbe diventare il primo tentativo di dare una connotazione diversa – più frastagliata – alle alleanze di Schifani. Magari senza dover per forza manifestare “lealtà” a ogni uscita pubblica, col rischio di rivelarsi supini o succubi rispetto alle posizioni dominanti.
Nell’universo del centrodestra, la cui vera natura è emersa durante gli accordi per le provinciali, non mancano le sfaccettature: si va dalla fedeltà incondizionata di Cuffaro, che al nostro giornale ha definito Schifani come “l’autorevole espressione di una felice sintesi politica e di una qualificata azione di governo”; alla parità di genere rivendicata dai patrioti, specie nell’occupazione delle caselle che contano (grazie all’interferenza complice di Ignazio La Russa, per il tramite del presidente dell’Ars). E poi ci sono pochissimi scatti d’orgoglio. Persino il partito di De Luca è rigorosamente complice di un governo che aveva osteggiato per larghi tratti. Ecco perché l’esperimento Lagalla, che non sarà niente di straordinario, riveste oggi un’importanza relativa.
“Roberto è un amico ma deve entrare nella logica che se vuole far parte di una squadra deve incontrarsi con noi e discutere”, era stato l’avvertimento di Schifani a ottobre. Solo perché Lagalla, qualche settimana prima delle Europee, aveva accolto l’invito del segretario nazionale Tajani per partecipare – da sindaco civico – a un evento forzista. Una presenza che non era passata inosservata e che, al contrario, aveva ispirato ragionamenti d’ogni genere: uno di questi prevedeva che fosse proprio l’ex rettore a competere per palazzo d’Orleans nel 2027. Una voce incontrollata, caldeggiata da alcuni “ribelli” forzisti, che aveva reso inconciliabili le posizioni di Renato e Roberto. Oggi la situazione è rientrata, purché ognuno se ne stia al proprio posto. Lagalla l’ha fatto (anche troppo), Schifani un po’ meno. Ecco perché la governance, checché se ne dica, “non va azzerata. Non dobbiamo commettere un errore che potrebbe costarci caro come è già accaduto alla precedente amministrazione”. Ci risiamo?