Il marziano che non sa nulla di Liberi consorzi (per sua stessa ammissione) ha preso parte al primo vertice di maggioranza, l’ennesimo in cui i partiti del centrodestra hanno cercato (?) l’accordo sui candidati unitari per le elezioni di fine aprile. Lo hanno descritto come “trasecolato”. Il marziano è, ovviamente, Luca Sbardella, nuovo commissario di Fratelli d’Italia in Sicilia. Del gruppo parlamentare dei patrioti – come ha ammesso in un colloquio con Mario Barresi su ‘La Sicilia’ – conosceva solo il presidente, Giorgio Assenza. Figurarsi gli alleati. A parte i rinomatissimi Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro (chi non li conosce? In Sicilia gli sottraggono pure i voti…), ha dovuto stringere mani e memorizzare nomi: da quello di Marianna Caronia e Massimo Dell’Utri, esponenti di Noi Moderati, passando per quelli di Marcello Caruso, segretario di Forza Italia, e Fabio Mancuso, sindaco di Adrano e una specie di responsabile organizzativo del Mpa.
Già, ma “se non c’è accordo su nulla, che siamo venuti a fare?”, è la domanda innocente di Sbardella. L’ambasciatore di Giorgia Meloni in Sicilia, un romano “paracadutato” in un collegio lombardo, ha dovuto calarsi nella liturgia del vertice regionale del centrodestra. Da quando Schifani – su richiesta degli alleati – ha convocato il primo, non si è mai deciso nulla. Solo dichiarazioni d’intenti o di principio. O meglio, si era deciso – questo sì – di mandare le province al voto con le elezioni diretta. A Roma hanno bloccato tutto. Mercoledì si è tentato l’impossibile: cioè piazzare le bandierine dei singoli partiti sulle singole caselle, peraltro dopo aver sperato che il Tar, accogliendo un ricorso, rinviasse nuovamente le elezioni per consentire ai commissari di proseguire il loro stupendo lavoro alla guida degli enti d’area vasta (se ne sono alternati decine in oltre dieci anni di limbo).
Invece no, la casta dovrà eleggere se stessa. E Sbardella, che in Sicilia è sceso per cercare di rimettere insieme i cocci del suo partito, trainandolo verso un’altra era (dopo che è stata dichiarata conclusa quella del Balilla), si ritrova al centro di un gioco dell’oca che si preannuncia infinito. Chissà cos’avrà pensato di fronte alle solite stoccatine fra Cuffaro e Lombardo per riscaldare il clima. Chissà cosa gliene fregherà del ‘niet’ di FdI, il suo stesso partito, alla candidatura del sindaco di Comiso, Maria Rita Schembari, alla guida del Libero Consorzio di Ragusa (alle Europee sostenne apertamente Edy Tamajo e adesso i “compagni” hanno posto il veto); e chissà quale interesse potrà vantare rispetto all’aggiudicazione di una provincia piuttosto che di un’altra. Gli sembreranno questioni di lana caprina. Non perché a Roma non si spartiscano nulla, ma perché è difficile immaginare, e poi capire, come sia possibile che la Sicilia perennemente in crisi su tanti ambiti – sanità, acqua e rifiuti: per citare i più comuni – debba affrontare continuamente discorsi su come lottizzare le poltrone.
Il marziano Sbardella, come detto, dovrà proiettare Fratelli d’Italia verso una fase nuova. Dovrà arrogarsi l’onere di decidere senza delegare, come ha ammesso lui stesso: “Sarò io a fare la sintesi, su tutte le questioni. Quando si commissaria un partito regionale – ha ribadito a ‘La Sicilia’ – non serve scegliere un esponente locale, a meno che ci sia una figura talmente alta e super partes da essere riconosciuta come tale. Meglio uno che arriva da fuori, con la testa e le mani libere”. Sarà uno e trino, perché raccoglie l’eredità dei due coordinatori regionali Pogliese e Cannella, ma soprattutto quella dell’ingombrante Manlio Messina, che dopo la sua nomina – così racconta Repubblica – avrebbe pensato di dimettersi non solo da vicecapogruppo di FdI alla Camera, ma anche dal partito per iscriversi al Misto.
Il Balilla sa di aver perso la partita più importante, dopo anni trascorsi a seminare con la sua corrente turistica. Ma può ancora contare su uno zoccolo duro che, nelle prime ore dell’insediamento del nuovo commissario, gli ha steso il tappeto rosso negli appuntamenti dei congressi. Vedi Francesco Paolo Scarpinato, attuale assessore ai Beni culturali. Sono scesi dal carro (per ora) e si sono iscritti al gruppo dei festaioli, quelli che hanno osannato il marziano sceso a Palermo. Hanno fatto la gara dei selfie per accaparrarsi un sorriso o una promessa, hanno spiegato che loro ci sono sempre stati e continueranno ad esserci. Per la causa, va da sé.
Sbardella dovrà stare attento ai vassalli infingardi e, nel frattempo, dovrà occuparsi dei capricci degli alleati di governo. Apprenderà in fretta come si consumano le “vendette” all’Ars, arriverà a ripugnare il voto segreto come tutti, verrà coinvolto nelle nomine di sottogoverno e nella gestione delle prebende, e a quel punto dovrà affidarsi a qualcuno più “saggio” di lui. Dovrà recitare una parte che non gli appartiene. Potrebbe chiedere come si fa a Stefano Candiani, l’ultimo commissario “straniero” della Lega in Sicilia, prima dell’avvento dei dirigenti locali. O potrebbe imparare sulla propria pelle cosa vuol dire la politica da queste parti: intanto cominciando a discutere della questione più impellente, cioè salvare i 50 milioni di mance contestate dal Ministero all’Economia; e poi trovando questa benedetta quadra sui sei nomi per la guida dei Liberi consorzi: “Ho preso in mano il dossier, ne discuterò con tutti gli alleati”, aveva detto alla vigilia del vertice di mercoledì. Visto com’è andata, difficilmente troverà la voglia di tornarci. Ma la prima data utile è già alle porte: lunedì gli verrà chiesto se preferisce Agrigento (per fare uno sgambetto alla Dc) o puntare dritto su Ragusa. Questioni esistenziali.