Le uniche occasioni in cui, nel corso di questa legislatura, i deputati dell’Ars hanno profuso il loro impegno, sono le sessioni finanziarie. Va dato atto agli assessori Falcone e Dagnino, prima l’uno e poi l’altro, di aver mandato in porto due Leggi di Stabilità entro i termini di legge, cioè senza passare dall’esercizio provvisorio e della spesa in dodicesimi. Ma le ultime manovre, come dimostra il lungo dossier inviato lunedì pomeriggio dal Ministero dell’Economia agli uffici regionali, sono viziate dalla “discrezionalità” con cui tutti i gruppi parlamentari (compresi quelli dell’opposizione) hanno distribuito i contributi a comuni e fondazioni. Nel mirino del Mef è finito il collegato alla legge 3 del 2025: non è altro che il maxi emendamento (scorporato volutamente dalla Legge di Stabilità) in cui sono confluite voci di spesa per circa 80 milioni.
Per una larghissima fetta di questo tesoretto (50 milioni circa), non sono specificati “i criteri ai quali sono ispirate le scelte operate e le relative modalità di attuazione e senza che sia previsto il ricorso ad alcuna procedura a evidenza pubblica”. Questa, peraltro, è la Finanziaria con cui il presidente Galvagno – per dare un taglio al “metodo Auteri” – ha imposto che i contributi finissero direttamente agli enti locali, piuttosto che alle associazioni o agli enti culturali, affinché fossero i sindaci a distribuirli. Una bella trovata per evitare che emergessero in superficie i veri criteri invocati dal Mef: cioè che la lottizzazione scientifica dei finanziamenti – tot milioni per i deputati di maggioranza, e altri tot per quelli di minoranza – fosse ispirata al principio delle clientele e del tornaconto elettorale.
Una modalità certamente spregiudicata di “maneggiare” il danaro pubblico, che va in conflitto addirittura con l’articolo 3 della Costituzione, non essendo rispettati i principi di eguaglianza e imparzialità nella proposta dei destinatari. I settanta onorevoli, questo il Mef non lo dice apertamente ma lo lascia intendere, l’hanno fatta fuori dal vaso. In attesa che l’assessorato regionale all’Economia presenti le proprie controdeduzioni per evitare l’impugnativa da parte del Dipartimento Affari regionali, ecco il quadro: se a saltare dovessero essere tutti e 22 gli articoli contestati, alla Regione si aprirebbe un buco di cinquanta milioni (anche se una parte della cifra è stata preventivamente “congelata”). Scorrendo le voci di spesa di iniziativa parlamentare, si trovano circa 16 milioni destinati alla promozione turistica, 8 milioni per i beni culturali (comprese chiese e parrocchie) e 6 milioni per rifare impianti sportivi e teatri. Ci sono anche i finanziamenti ad hoc come per l’estate Sciarese, nel Palermitano, o il beach volley a Marina di Modica.
L’immagine della Sicilia e della sua Assemblea, sono ancora una volta intaccate. I deputati hanno fatto poco, e quel poco lo hanno fatto male. In questa legislatura non c’è stato quasi nulla di tangibile: non una riforma in grado di rilanciare lo sviluppo dell’Isola, né quelle che dovrebbero garantire la normalizzazione di settori fondamentali come i Consorzi di Bonifica e i forestali. Ci si è incagliati spesso su iniziative senza futuro, come nel caso della leggina per rimandare al voto diretto le ex province; e su riletture assai vaghe del sistema enti locali, dove ancora si tenta di portare al 40% le quote rosa nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.500 abitanti. Si discute ogni tanto di consiglieri supplenti e di sanatorie edilizie, e abortiscono, invece, provvedimenti necessari come la riforma della pubblica amministrazione (che, però, tentava di stabilizzare medici e farmacisti “comandati” dalle Asp in altri uffici regionali). La cifra distintiva dell’operato dell’Ars è la furbizia. Fin qui, però, non ha pagato.
Per il resto i 70 deputati si sono aggrovigliati in una infinità di rimescolamenti e riposizionamenti. Deputati di Cateno De Luca, partiti col fuoco negli occhi per contrastare la “banda bassotti”, sono finiti nel centrodestra (vedi il leghista Geraci, sindaco di Cerda, fermo sostenitore della sagra del carciofo); il loro stesso leader li ha seguiti a ruota, flirtando con Galvagno e FdI; il capogruppo del Mpa di Lombardo è stato arrestato e ha dovuto abbandonare la commissione antimafia; La Vardera e Auteri si sono rivisti tra i banchi del Misto dopo aver sfiorato lo scontro fisico nei bagni dell’Assemblea. Un autentico show in favore di telecamera, ma “sotto il vestito niente”. Le opposizioni, a lungo ininfluenti, si sono palesate solo per partecipare alla ricca spartizione delle prebende, salvo votare contro al momento dell’approvazione del bilancio. Una fuffa.
Oggi si ritrovano tutti sulla stessa barca e l’unico a poter dire di averci visto lungo è il segretario del Pd, Anthony Barbagallo, deputato alla Camera dei Deputati. Qualche mese fa, negli istanti immediatamente successivi al varo della manovra, minacciò di presentare un esposto alla Corte dei Conti per denunciare il sistema delle mance: “Promettere utilità come finanziamenti in cambio di consenso elettorale, è un reato grave per il nostro ordinamento giuridico”. Mise sul banco degli imputati anche il gruppo parlamentare del suo partito, che gli si rivoltò contro. Ieri è tornato a parlare di “modalità inaccettabile di finanziamento”, anche se ha corretto parzialmente il tiro, spiegando che la responsabilità “sta in capo al governo regionale e alla maggioranza di centrodestra”. Resta, la sua, l’unica voce critica. Tutti gli altri, dentro il palazzo, sanno di aver toppato. Ma soprattutto dovranno riconoscere che il valzer dei contributi – che l’impugnativa arrivi o meno – è destinato a una battuta d’arresto. Poveri territori…