Potrebbe essere la fine di tutte le prepotenze quella impressa da Giorgia Meloni alle vicende siciliane di Fratelli d’Italia. In un solo colpo finiscono alla porta i due coordinatori regionali del partito, gli impalpabili Salvo Pogliese (specie da quando non è più sindaco di Catania) e Giampiero Cannella; ma anche Manlio Messina, fino a ieri plenipotenziario di FdI in Sicilia, oltre che il maggiore esponente della “corrente turistica”: ha scelto di dimettersi dall’incarico di vicecapogruppo alla Camera. Ha rassegnato le proprie dimissioni nelle mani del capogruppo Galeazzo Bignami che – scherzo del destino – lo aveva “bruciato” dopo la nomina di Tommaso Foti a ministro. Messina ambiva al ruolo di massimo rappresentante patriota a Montecitorio, ma è stato trombato sul più bello.
Un altro episodio aveva minato il percorso del Balilla nei palazzi romani. Cioè la durissima reprimenda di Giovanni Donzelli all’indomani dello scandalo che aveva interessato il deputato regionale Carlo Auteri (centinaia di migliaia di soldi pubblici dirottati alle associazioni gestite da familiari); Messina era pronto ad annunciare le dimissioni con una diretta Facebook, poi la crisi è rientrata. O meglio, è rimasta sopita per qualche mese. Il responsabile organizzativo del partito, Donzelli appunto, aveva chiesto all’ex assessore al Turismo di dissociarsi dalle pratiche adottate dal suo “allievo”, il ras di Sortino, sui contributi destinati alla cultura. Ma lui niente. Secondo il racconto del Fatto quotidiano, non volle saperne.
Così ha continuato a rappresentare la Meloni nei talk show, sfoderando la sua dialettica raffinata e rivolgendo improperi a “sinistri” vari, come adora chiamarli. La pacchia è finita. Messina conferma le proprie dimissioni, ma non le spiega. E’ solo l’effetto domino di scelte che la stessa Giorgia ha giudicato come improcrastinabili. Il partito, nell’Isola, è affondato nelle pieghe degli scandali e degli sperperi. E’ passato dalla versione law and order della campagna elettorale, un approccio quasi forcaiolo, allo scatafascio di SeeSicily, così come sentenziato dalla Corte dei Conti (20 milioni di buco nel bilancio regionale); dal rigore della destra catanese al fare incetta di fondi pubblici con operazioni legittime – avallate dall’Ars che continua ad utilizzare il sistema della mance – ma del tutto inopportune politicamente, come accaduto ad Auteri (poi dimessosi e transitato al gruppo Misto); ha assistito al maldestro tentativo di Luca Cannata, l’onorevole candidato alla segreteria regionale, di giustificare la richiesta di denaro ai suoi ex assessori quand’era sindaco di Avola.
E’ stato troppo anche per Giorgia, che ha deciso per un taglio secco: dentro un commissario (Luca Sbardella), fuori gli altri tre. “Sono certa che saprai meritare la fiducia che ti è stata accordata svolgendo il tuo compito nell’interesse del partito e della sua crescita”, sono state le parole della premier. Messina è stato interprete di una stagione (s)fortunata in cui FdI ha potuto gestire lo smisurato portafogli dell’assessorato al Turismo, in maniera quantomeno rivedibile. Il caso Cannes ha rischiato far affondare la Regione, danneggiata nella propria immagine (come sostenne Schifani prima di ritirare in autotutela il provvedimento con cui venivano consegnati quasi 4 milioni a una società lussemburghese per una mostra sul cinema). Anche il programma SeeSicily s’è rivelato un’esperienza infausta: non solo perché molti dei voucher che la Regione acquistò dalle strutture ricettive rimasero invenduti; ma anche perché l’unico modo per “commutare” la spesa (a valere su fondi comunitari) fu l’enorme incremento del plafond destinato alla comunicazione (da 4,8 a 23,8 milioni).
Durante gli anni della corrente turistica, dietro lo sguardo distratto e complice del partito, le iniziative di questo genere sono proliferate. E i clientes pure. Per lo più grossi gruppi editoriali con sede al Nord, che avrebbero avuto la possibilità di ricambiare con sostanziose ospitate in tv e sui giornali. Ci avrebbero pensato loro ad accrescere il brand… Sono stati gli anni dei Giri d’Italia e di Sicilia, pagati fior di quattrini alle società di Urbano Cairo; dei promoter e dei pagnottisti, sempre più in voga nei palazzi del potere; delle direzioni artistiche affidate in via esclusiva a uomini e donne della scuderia (talvolta nel ruolo di project manager, come capitato alla maestra Gianna Fratta per le Celebrazioni Belliniane: 100 mila euro d’incarico); del dominio nelle fondazioni culturali e nelle Film commission. Hanno persino commissariato un ente lirico di enorme pregio artistico, come l’Orchestra Sinfonica Siciliana, riducendola a una privativa di sottogoverno.
Hanno allevato una classe dirigente che non si è distinta per le sue capacità ma per la propria appartenenza. “Siamo quelli della corrente turistica”. Adesso la risacca rischia di travolgerli, anche se il governo siciliano porta ancora i segni di questa fase. C’è l’assessore Amata, che avrebbe riproposto più che volentieri SeeSicily, al Turismo; c’è Scarpinato, che ha irritato più volte Schifani, ai Beni culturali. Ma la Meloni sembra aver tracciato una linea per separare i buoni dai cattivi. Per separare le esperienze e i mondi di questa fenomenologia patriota.
Resta quello dorato e potente di La Russa e Galvagno, da Paternò, rimasto al riparo dagli sconvolgimenti dell’ultim’ora; resta quello di Musumeci e di Razza, un po’ malandato a causa dell’ultimo episodio che ha colpito il delfino Ferdinando Croce, manager dell’Asp di Trapani che non ha comunicato il numero esatto degli esami istologici arretrati; c’è quella degli orfani del Balilla, che con una certa presunzione d’impunità, fino a ieri tentavano di dare le carte nei territori. Ma c’è anche un commissario che dovrebbe assumere le vesti del domatore per riportare i discenti alla missione originaria del buongoverno: senza sprechi né scandali. Questa non è cosa loro. E’ cosa pubblica.