Gli manca (ancora) qualche pratica per il titolo a effetto: Schifani über alles. Intanto ha messo a segno alcuni colpi di pregiata raffinatezza. Ad esempio, è riuscito ad accasare nella sua parrocchia (quasi) tutti i rivali alle ultime Regionali. E’ lui, Renato, il primum inter pares. Gli mancano le riforme, e quelle non può farsele da solo, ma si è garantito una copertura politica all’interno della sua coalizione – nonostante qualche intemperanza da parte di Tamajo – e anche fuori. Basti guardare l’ammirazione con cui ne parla Cateno De Luca, il più agguerrito dei suoi ex rivali: “Ha rafforzato il dialogo con tutti, perfino con le opposizioni, con ottimi risultati. Ha dismesso le apparizioni fugaci, calandosi nelle dinamiche parlamentari”, ha detto a Live Sicilia il leader di Sud chiama Nord. A questo punto diventa tutto possibile: anche una futura alleanza fra il diavolo e l’acquasanta.

Ebbene, il primo capolavoro politico dell’ex presidente del Senato è stato quello di portare dalla propria parte, in tempi diversi e con modalità diverse, i suoi contenders alle ultime Regionali, nel 2022. Il primo ad accodarsi è stato Gaetano Armao, immediatamente nominato consulente in materia di fondi e questioni extraregionali (un surrogato dell’ex assessore all’Economia Falcone, quando gli venne sfilata la delega alla Programmazione), nonostante alla vigilia delle urne si fosse schierato con il Terzo Polo di Renzi e Calenda. Armao è anche diventato il presidente della Commissione tecnico specialistica per le valutazioni ambientali, che riveste un ruolo fondamentale nell’attuazione delle politiche sui rifiuti – è da lì che passa il destino dei termovalorizzatori – ma anche per l’attrazione degli investimenti. In un report recente, Schifani ha spiegato che “siamo arrivati ad autorizzare in un anno investimenti per un valore complessivo di 65 miliardi di euro, coniugando crescita economica e sostenibilità ambientale”.

Dopo Armao è toccato a Caterina Chinnici, altra sfidante (con la casacca del Partito Democratico) nella tornata elettorale per Palazzo d’Orleans. Stavolta l’avvicinamento a Forza Italia è avvenuto per il tramite di Antonio Tajani, ma ciò non toglie che nell’ultima settimana di campagna, dopo aver tergiversato con altro, Schifani si è convinto a darle una mano per impedire che la capolista potesse fare una figura barbina. E quindi, eccola: terza degli eletti ma con un passepartout per il parlamento europeo (grazie alla rinuncia di Tamajo). Anche Scateno, ormai, è entrato nella schiera degli ex nemici: sono bastati due anni di legislatura per convincersi che Schifani non fosse un ologramma né il male assoluto, ma solo un presidente col quale sarebbe stato meglio scendere a patti, pur partendo da posizioni agli antipodi. Con questo cambio d’atteggiamento, De Luca ha consentito alla Città Metropolitana di Messina di avere le giuste attenzioni da parte del governo regionale, e lui stesso s’è visto riconoscere da Schifani le indubbie doti d’amministratore.

Ma in questi due anni, oltre a rivelarsi un abile affabulatore coi suoi avversari (il primo a cedere alla tentazione è stato Giancarlo Cancelleri, transitato in Forza Italia prima di seguire Lombardo nella nuova “cosa bianca”), è riuscito a rintuzzare gli attacchi all’interno della sua stessa maggioranza. Specie quelli provenienti dal Mpa. Lombardo, che l’attaccato sulla sanità e per i rapporti “privilegiati” con Cuffaro, alla fine ha dovuto demordere. La triplice alleanza con Micciché e Lagalla è mutevole: può essere una spina nel fianco, così come un rafforzamento dell’area di governo. Al momento regge questa seconda ipotesi. “Il nostro candidato è Schifani”, vanno ripetendo i tre. Persino l’ex presidente dell’Ars, con cui i rapporti sembravano deteriorati in maniera definitiva, gli è andato incontro organizzando un brindisi prima di Natale. Hanno festeggiato la risurrezione dell’amicizia, hanno celebrato le comuni origini berlusconiane e rilanciato un rapporto imbalsamato dagli insulti.

Anche il trio degli inquieti è stato rinchiuso nello sgabuzzino della parrocchia, un posto non troppo confortevole, che prima o poi potrebbe tornare stretto: è chiaro. Ma che per il momento gli consente di andare avanti senza eccessivi tremori (tranne i franchi tiratori che ogni tanto s’affacciano in aula) e senza i rituali interrogativi che ti affliggono a metà legislatura. Ci riprovo o no? Schifani avrebbe certamente l’appoggio della Democrazia Cristiana di Cuffaro, “l’amico leale”, ma anche quello della Lega di Luca Sammartino, il più idolatrato degli allievi. Anche i patrioti, tutto sommato, rimangono sotto controllo. E potrebbe essere questa esposizione a destra del presidente – per i buoni rapporti coi Galvagno e coi La Russa – ad aver provocato i malumori di Tamajo, che nella terra di mezzo vorrebbe ritrovare la sua centralità.

Aver dovuto governare una grande piaga come la siccità – per i risultati concreti ripassare la prossima estate – e aver tentato di evitare figuracce come ad Agrigento Capitale della Cultura, ha esposto Schifani alle pratiche di governo più energiche. Non esattamente la specialità della casa per uno abituato alla nobiltà del Senato. Ma tant’è. Una palestra che ha rafforzato il suo ego e creato aspettative negli altri (assistenti, consulenti, amministratori locali, e soprattutto burocrati). “Io e i miei collaboratori andiamo a 300 all’ora mentre registro un sistema amministrativo e burocratico che viaggia a 50 all’ora”, ha detto a margine della Festa di Sant’Agata.

Una polemica – una delle tante – venute fuori in questi anni trascorsi a palazzo d’Orleans. Dove i problemi sono di gran lunga superiori rispetto alle soluzioni. Il presidente della Regione ha parlato di “un sistema incrostato” dove “una parte della burocrazia non ha entusiasmo”, aggiungendo che “certe volte mi sento un marziano”. Questo è anche un modo per preparare il terreno rispetto alle nomine dei capi dipartimento: 17 contratti scadono la prossima settimana e Schifani vorrebbe evitare di finire nel tritacarne dei partiti che si affidano alle appartenenze piuttosto che al merito. E’ già successo con la sanità, e la Sicilia ne sta ancora pagando il prezzo.

Riuscirà l’onorevole presidente, dopo essersi guadagnato l’appoggio dei suoi rivali, a convertire anche i burocrati?