Sarà per una strana forma di masochismo (nel farsi bacchettare), ma l’Ars non accenna a redimersi. Un’altra legge – questa volta relativa allo slittamento delle elezioni di secondo livello nelle ex province – è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri perché eccede “dalle competenze statutarie” e soprattutto si pone “in contrasto con la normativa statale in materia di elezione dei Presidenti dei Liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani”. Addirittura in contrasto con l’art.1 della Costituzione italiana, il quale recita che “la sovranità appartiene al popolo”. Invece, con un’azione tanto furba quasi dannosa, l’Assemblea, alla fine dello scorso ottobre, aveva utilizzato il treno merci della riforma urbanistica per agganciarci un vagone difettoso (altrimenti noto come “emendamento fuori sacco”). L’obiettivo? Rinviare le elezioni di secondo livello, già convocate da Schifani per il 15 dicembre, a un periodo successivo (aprile?), con la speranza di ottenere nel frattempo una deroga alla Legge Delrio che invece impone la celebrazione del rito delle urne, anche se limitatamente a sindaci e consiglieri comunali. Deroga che non è mai arrivata.

Il risultato è un pasticcio clamoroso e una condotta rivedibile. Il messaggio che viene fuori è che il parlamento più antico del mondo proprio non ne vuol sapere di attenersi alle regole. Era stato il suo presidente, Gaetano Galvagno, ad asserire, il 10 maggio 2023 in conferenza stampa, che “difficilmente in futuro questa Presidenza si assumerà il rischio di avallare norme che potranno essere impugnate”. La decisione di allungare ulteriormente il brodo, però, è stata scientifica. Condizionata dagli appetiti dei cacicchi locali che non vogliono cedere all’ipotesi del voto “ponderato” di sindaci e consiglieri, il cui esito sarebbe imprevedibile e difficile da controllare.

L’ennesima proroga dei commissari degli enti d’area vasta, però, è giunta al termine di un iter accidentato e pieno di precedenti sfavorevoli. Nell’agosto 2017, nell’ultimissima fase del governo Crocetta (lo stesso che aveva “abolito” gli enti intermedi in una ospitata da Giletti), l’Ars approva la legge che prevede l’elezione diretta del Presidente e del Consiglio del libero Consorzio comunale, nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano, in contrasto con la Legge Delrio (n. 56/2014) che stabilisce l’elezione indiretta per tali organi. Dopo l’impugnativa da parte di Palazzo Chigi, la Consulta, con la sentenza n.168 del 2018 (quando il governo Musumeci è già in carica) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge siciliana, affermando che la disciplina statale in materia di elezione indiretta degli organi degli enti di area vasta costituisce un principio fondamentale di riforma economico-sociale, vincolante anche per le regioni a statuto speciale.

Il secondo atto di questa farsa arriva qualche anno dopo: nel 2022, con l’articolo 13, commi 43, 71 e 108, della legge regionale n. 26 del 2022, viene disposto l’ulteriore rinvio delle elezioni per gli organi dei Liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane, prorogando al 31 agosto 2023 le funzioni dei commissari straordinari. La Corte Costituzionale non ci sta e, con la sentenza n. 136 del 2023, ritiene che i continui rinvii delle elezioni di secondo livello, iniziati nel 2015, avessero impedito la costituzione degli organi rappresentativi, prorogando una gestione commissariale “incompatibile” con la natura di enti territoriali autonomi e costituzionalmente necessari.

Ci avviciniamo all’attualità. Nonostante le precedenti pronunce, la Regione emana un’altra legge (la n.6 del 2023) che disponeva il diciassettesimo rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta, prorogando ulteriormente la gestione commissariale. A presentare ricorso in via incidentale, in questo caso, è il Comune di Enna, che aveva impugnato (di fronte al Tar Sicilia) quattro decreti di nomina dei commissari straordinari presso il Libero Consorzio. L’ultimo dei quali fondato sulla legge in esame. Ebbene, la Corte Costituzionale dà torto alla Regione che avrebbe frapposto “un perdurante ostacolo alla costituzione degli organi elettivi dei Liberi Consorzi comunali e delle Città Metropolitane e prorogando contestualmente il commissariamento delle funzioni dei Presidenti dei liberi consorzi, il legislatore siciliano è venuto meno al dovere, scaturente dagli artt. 5 e 114 Cost., di istituire gli enti di area vasta nel rispetto della loro autonomia”. Un caos giuridico e normativo di cui l’Ars non si cura minimamente. Perché l’interesse preminente dei deputati e dei partiti di riferimento è arrivare comunque all’esito sperato. Anche se contra legem.

Da qui l’ultimo tentativo dello scorso ottobre. Disperato. Perché dall’aula era già passata una proposta per la riforma delle modalità di voto (lo scorso gennaio), ma era stata impallinata clamorosamente dai franchi tiratori. In attesa di ridiscutere i termini del “contratto” con Roma e con Calderoli, ci si accontenta di emendare una legge che non c’entra nulla con la materia (la riforma Urbanistica) e si decide di prorogare i commissari almeno fino ad aprile. Il disegno di legge per la reintroduzione del voto diretto, invece, giace attualmente in commissione Affari istituzionali, all’Ars, ma è chiaro dalle ultime evoluzioni che non potrà avere sbocchi. Anche i Fratelli d’Italia, con Galvagno in primis, appaiono sempre più restii ad operare forzature. L’unica speranza è che qualche santo in paradiso, a Roma, conceda una copertura politica e normativa affinché i deputati siciliani possano finalmente coronare il proprio sogno (fatto di circa 300 poltrone).

“L’impugnativa romana del rinvio delle elezioni di secondo livello – scrive il capogruppo del Movimento 5 Stelle, Antonio De Luca – è la conseguenza dell’arroganza del governo Schifani, che è rimasto sordo non solo ai nostri avvertimenti, ma perfino ai dettami della Corte Costituzionale che ha chiaramente indicato le elezioni di secondo livello come unica via percorribile con la Delrio ancora in piedi. Speriamo che ora Schifani e ĺa sua maggioranza si mettano il cuore in pace, mettano da parte la loro voglia di distribuire nuove poltrone e accantonino il ddl sulla reintroduzione diretta delle Province, attualmente in Prima commissione, smettendola di prendere in giro i siciliani e il Parlamento”.

Il clima non è dei migliori, ma state certi che se ne riparlerà. Giusto la settimana scorsa, nel primo vertice di maggioranza dopo le festività, tutti i partiti della coalizione di governo hanno ribadito “la volontà comune di lavorare in modo unitario per superare ogni ostacolo di natura normativa, burocratica e attuativa legato alla riforma delle Province e per l’elezione diretta dei Presidenti”, ma soprattutto di voler “proseguire nel percorso legislativo già intrapreso, lavorando per superare le attuali criticità e poter così restituire alle Province un ruolo centrale nella gestione dei servizi e nello sviluppo territoriale”. Non si arrendono. Nonostante tutto.