“Niente alibi”. E’ stato il grido con il quale il presidente della Regione, Renato Schifani, ha stroncato ogni tentativo di giustificare le nefandezze registrate tra i corridoi di Villa Sofia. I massimi dirigenti dell’ospedale palermitano erano stati convocati a Palazzo d’Orleans per spiegare come mai un paziente di 76 anni, giunto in pronto soccorso con una frattura alla spalla, sia rimasto per diciassette giorni in attesa dell’intervento. Fino a morirne. I manager hanno farfugliato le loro ragioni ma Schifani ha bruscamente interrotto il valzer dello scaricabarile. Un contraccolpo privo di indulgenza che ha provocato, com’era inevitabile, le dimissioni di Aroldo Gabriele Rizzo, direttore sanitario dell’azienda ospedaliera.

Tutto risolto? Il rischio è che il buco nero di Villa Sofia, con l’indignazione e la strigliata del Governatore, concentri su di sé l’attenzione della politica e diventi un alibi per lasciare a bagnomaria tutti gli altri problemi che affliggono la sanità siciliana: dal Piano di Rientro, lungo già diciotto anni, all’impossibilità delle strutture convenzionate – ambulatori e laboratori – di applicare le disastrose tariffe imposte dal ministro Schillaci; dallo smarrimento, in una foresta di cavilli, del polo pediatrico allo smaccato nepotismo con il quale vengono sistemati ai piani alti di Piazza Ottavio Ziino parenti e amici di autorevoli esponenti del potere regionale.

Ce lo insegnavano le nonne: ogni vivanda lasciata a bagnomaria finisce per imputridire. Schifani intanto ha tuonato contro gli alibi e contro le chiacchiere a vuoto. Ovviamente non basta un urlo per dire che la traversata del deserto sia conclusa o che possa quantomeno concludersi in tempi brevi. Raddrizzare il legno storto della malasanità è un’impresa a dir poco titanica: per troppi anni i governi hanno lasciato che galleggiasse e marcisse nel mare grande delle emergenze siciliane. Ma il grido di Schifani rappresenta comunque un primo passo. Specie se riuscirà a svegliare quei partiti, come Fratelli d’Italia, convinti che la politica sia una festa continua, fatta di mance e di milioni di euro destinati oggi alle fiere e domani alle sagre, oggi agli spettacoli e domani al turismo.