“Viviamo una vita elementare”. L’amica che ieri sera mi parlava della sua vita, della sua vita elementare, sceglie sempre con cura le parole da adoperare. Mi piacciono le persone che hanno a cuore le parole da dire, che non le spendono a casaccio. È una forma di eleganza e di rispetto verso se stessi e gli altri.
Ma dicevo: mi ha colpito questa storia della vita elementare.
Mi evoca una sorta di ritorno alle origini, come riscoprire se stessi attraverso l’eliminazione di quel superfluo che un tempo neanche troppo lontano consideravamo invece necessario. Semplificando, immagino che la vita elementare dell’amica e del marito abbia a che fare con l’equazione casa-lavoro-casa. Che pur nascondendo la paura mortale della noia, nasconde in fondo una sorta di esigenza che forse noi tutti da un certo punto in poi cominciamo ad avvertire. Per me, almeno, è così.
Sarà forse anche per questo che questa frase buttata giù nel mezzo di una cena mi ha colpito così tanto da ronzarmi in testa anche stamattina. La vita fatta di piccole cose, una cena, un film al cinema, una serie tv, un viaggio in moto, un libro, un’ora al computer per pianificare un viaggio che forse farai e forse no. E andare a letto consapevole di avere fatto il tuo dovere fino in fondo, sapendo che lo farai anche domani.
Forse il senso di tutto è proprio questo, togliere via via tutto quello che hai faticosamente accumulato strada facendo in questa bulimia inutile. Scremare, liberarsi, ritrovare le priorità perdute e abbandonare, per dirla con uno che la sa più lunga di me, l’armamentario voluttuario. La vita elementare.