Il vero miracolo di Natale non è stata l’assoluzione di Salvini, “sopravvissuto” all’accusa di sequestro di persona formulata dalla Procura di Palermo; né l’approvazione di un regolamento per l’assegnazione dei contributi regionali agli enti o alle associazioni culturali (per evitare la grand buffe del Turismo e ripristinare la ‘questione morale’). Il vero miracolo siciliano, semmai, è la pace fra i due titani di Forza Italia: Gianfranco Micciché da un lato, Renato Schifani dall’altro. Qualche giorno fa si sono ritrovati a un brindisi, in un albergo del Foro Italico, e oltre a cingersi affettuosamente (“Siamo due figli di Berlusconi”), hanno espresso parole di stima l’uno per l’altro. Roba impensabile fino a una manciata di giorni prima. Micciché, addirittura, ha espresso gradimento per la ricandidatura di Schifani, anche se non è un tema all’ordine del giorno: “Sarebbe sciagurato non darti un’altra chance”. E giù applausi.

Mancano ancora tre anni e, nonostante Schifani sia solleticato dall’idea, sembra l’unico a non fidarsi. In troppi – persino Raffaele Lombardo e Roberto Lagalla, suoi potenziali rivali – mettono il carro davanti ai buoi, così il governatore, almeno a parole, rimane cauto: “Per ora penso a lavorare, poi si vedrà”. Anche perché, a dirla tutta, il tema della ricandidatura non sembra solleticare granché il resto della coalizione. Lo dimostrano le ultime vicende (e vicissitudini) di Sala d’Ercole.

Il centrodestra è terrorizzato dal voto segreto, tanto da aver introdotto, nelle fasi iniziali del dibattito sulla Finanziaria, la figura del “controllore”. Dicasi “controllore” il deputato leghista Luca Sammartino, il cui compito è vigilare sui colleghi di coalizione affinché non diventino ‘franchi tiratori’. La figura prevede di fare su e giù all’interno dell’aula parlamentare per incutere “timore” ai ribelli. Che per motivi personali o altro potrebbero scegliere di utilizzare la leva del voto segreto per esprimere un malumore, parziale o completo, nei confronti dell’intera compagine. Qualcuno l’aveva già fatto nel day-1 della Legge di Stabilità, impedendo lo stanziamento di 350 mila euro per il cerimoniale della presidenza della Regione. Col “vigile” Sammartino, affiancato da altri suoi colleghi/crociati, la scena non si è più ripetuta (almeno fino alla serata di lunedì) e il centrodestra ha portato a casa la task force che sostituisce l’Agenzia per attrarre gli investimenti, e che comunque metterà in palio 5 poltrone da 50 mila euro l’anno per garantire lo sviluppo dell’Isola. L’Agenzia ha cambiato i propri connotati: è diventata “una squadra di Power Rangers per salvare la Sicilia”, secondo il Movimento 5 Stelle. Ma è stato un miracolo – per restare in tema – aver evitato la nascita di un altro carrozzone regionale.

Tornando al voto segreto e ai “controllori”: le liste di proscrizione sono già pubbliche (ne farebbero parte, secondo Repubblica, anche i due assessori patrioti Savarino e Amata, oltre ai forzisti Intravaia e Lantieri), mentre i deputati sentinella sono l’ultima invenzione di una classe politica che non riesce a concludere quasi nulla, nonostante il centrodestra – al completo – possa vantare una certa supremazia nei numeri. Invece è costretta a questi sotterfugi di bassa lega per mandare in porto delle iniziative. L’alternativa è coinvolgere le opposizioni.

Bisognerà farlo col maxiemendamento, che Pd e M5s hanno contestato aspramente. La soluzione prospettate all’aula nelle ultime ore, in effetti, va al di fuori dei canoni parlamentari: consta di una “Finanziaria parallela” che, a differenza di quella ufficiale, non è mai stata discussa nelle commissioni di merito, e che pertanto è priva di fondamenta. Non solo perché “mancano le relazioni di accompagnamento”, come ha spiegato l’assessore Dagnino; bensì, perché non si intravede alcuna ratio. “Si dovevano discutere gli articoli – dice il capogruppo M5s Antonio De Luca – in commissione Bilancio, dove pure la maggioranza è blindatissima, e poi portarli in aula per il dibattito. Invece non è stato fatto e questo è inaccettabile”. Un altro sotterfugio per evitare di farsi male.

La composizione di un maxiemendamento, senza la possibilità di esprimersi su ognuna delle norme che lo compongono, è un’altra trovata bislacca per accelerare l’iter parlamentare, anestetizzando il dibattito e le critiche. E anche per sfuggire agli scandali, giacché le mancette per la promozione di iniziative culturali (e territoriali) troveranno spazio in questa finestra. Scatenare in aula l’assalto alla diligenza – analizzando, punto per punto, il tenore delle sagre o delle chiese da restaurare – non è più conveniente, così si ricorre alla scappatoia. E’ come la ‘questione di fiducia’ posta dal parlamento nazionale su una legge (o l’intero pacchetto o la crisi di governo). Qui, più che altro, è un atto di fede (cieca). Ma il meccanismo non ingranerà, a meno che le opposizioni non ottengano una contropartita.

Il vero miracolo di Natale sarebbe stato assistere a una Finanziaria orientata allo sviluppo della Sicilia, nella quale, a parte gli spot, si sarebbe concesso un po’ di respiro a quest’Isola con misure e soluzioni che non mirassero esclusivamente al consenso. Invece ci si ritrova a parlare di “controllori” e “controllati”, di fedelissimi e di traditori, di maschere. E di qualche operazione da libro cuore per accogliere le festività con ottimismo e lasciarsi tutto il resto alle spalle: vedi l’assunzione dei 246 nuovi dipendenti regionali (di cui la stragrande maggioranza destinati agli assessorati e ai Centri per l’Impiego), la promessa di un reddito di povertà e della legge di contrasto al crack (mancano i decreti attuativi, ha voglia l’Arcivescovo di Palermo a ‘scaldarsi’), e i soliti sopralluoghi urgenti negli ospedali, per appurare ciò che di per sé è noto (la sanità è allo sbaraglio). C’era modo migliore per concludere l’anno, ma la politica siciliana, ormai, ha perso pure la capacità di illudere.