Toh, chi si rivede. Marco Betta, l’osannato sovrintendente del Teatro Massimo, si era rinchiuso per qualche mese nel retrobottega della politica. La sua riconferma non era scontata e il compositore si è dato molto da fare, con inchini e genuflessioni, per conquistare non solo la benevolenza di Roberto Lagalla e Renato Schifani ma anche il consenso determinante di Alessandro Giuli, ministro della Cultura. Comunque ce l’ha fatta. E ieri s’è mostrato, con i fregi del vincitore, a noi poveri siciliani che in buona parte paghiamo lo stipendio a lui e ai suoi numerosi consulenti. Ci aspettavamo, data la fama internazionale, che discendesse direttamente dall’olimpo delle arti, avvolto da cori angelici, per consegnare un messaggio apofantico alla derelitta umanità. Invece è sbucato dal maleodorante bar dei pagnottisti come un oscuro politicante in cerca di visibilità.