L’operazione del nuovo centro voluto da Lombardo, Micciché e Lagalla, che in teoria avrebbe dovuto rafforzare l’azione del governo Schifani (anche in funzione della freschissima affiliazione tra il Mpa e Forza Italia), ha già fatto segnare dei punti di rottura – più di carattere ideale che sostanziale – all’interno della coalizione di governo. Finendo per asseverare i sospetti di Totò Cuffaro: “Sono un amico sincero e leale di Renato Schifani e spero che lo siano anche loro”.

Intanto, Schifani è alla guida di una coalizione di centrodestra, o di destra-centro che dir si voglia. Dove il partito di maggioranza relativa, uscito dalle urne alle ultime Regionali, è Fratelli d’Italia. Per questo le ultime dichiarazioni di Lombardo, dopo la promessa di essere leali col presidente della Regione (a tal punto dal perorare una sua ricandidatura), sembrano stonare con la realtà: “La mia storia per quanto riguarda la Prima Repubblica – ha detto l’ex governatore intervenendo alla trasmissione ‘Il Punto’, su Telecolor -. appartiene ad un partito, la Democrazia Cristiana. Citando De Gasperi: penso a un grande partito di centro che guarda a sinistra, non che fa un passo verso sinistra, ma che per quanto riguarda alcune categorie, alcuni valori, alcune cose come la solidarietà, la lotta alla povertà, il lavoro, l’occupazione, l’immigrazione, possa ispirarsi a quell’impostazione”.

Lombardo, più che a destra, sembra guardare a sinistra. Ma soprattutto sembra non avere nulla in comune con alcune delle battaglie propinate da Lega – c’è ancora il dente avvelenato dopo il naufragio della federazione – e FdI (nonostante gli ottimi rapporti con Galvagno). Il tema dell’autonomia differenziata ci viene subito incontro. La Corte Suprema di Cassazione ha dichiarato legittima la richiesta di abrogazione dell’Autonomia, anche se a pronunciarsi nel merito dell’ammissibilità dei quesiti, nel prossimo gennaio, sarà la Consulta (che ha già cassato alcune parti sostanziali della norma voluta, in primis, dal ministro Calderoli). Al netto dei tecnicismi, ciò che emerge dal nuovo centro è la netta contrarietà a questa forma di regionalismo differenziato: “Per quanto riguarda il referendum sull’autonomia, bene che non si faccia questo referendum – ha detto Lombardo -. Che si modifichi la legge, perché non ci giova questa autonomia differenziata. O si fa una legge con una autonomia limitata, equilibrata, con un ruolo del Parlamento o certamente il referendum sarà una rovina”.

Sul tema dell’autonomia è sempre molto vigile anche Gianfranco Micciché, l’unico del tridente a non aver ancora dichiarato, in maniera netta e inequivocabile, la preferenza per Renato Schifani come prossimo ri-candidato alla presidenza (anche al contorsionismo c’è un limite). “La politica si fa portando avanti le idee e non mettendo paletti. Ho vissuto tutta la mia vita politica con Berlusconi in un centrodestra moderato. Non indietreggerò di un millimetro rispetto alla mia battaglia sul livello culturale della nostra regione. La mia linea futura sui diritti civili neanche la discuto e non potrò mai votare l’autonomia differenziata”, ha detto l’ex presidente dell’Ars.

Non sarà sfuggito ai più attenti che, prima dei dovuti distinguo di Tajani, Schifani in conferenza Stato-Regioni avesse garantito il proprio sostegno alla legge dell’Autonomia differenziata, con un voto favorevole e circostanziato, e che soltanto in seconda battuta alcuni nodi erano venuti al pettine. “La Corte costituzionale scongiura definitivamente il pericolo di un’Italia a due velocità attraverso intese intergovernative e non parlamentari – aveva aggiunto il governatore all’indomani della pronuncia della Consulta, che aveva considerato “illegittime” specifiche disposizioni del testo legislativo -. Saranno le Camere, nel pieno esercizio delle loro funzioni legislative e rappresentative dei cittadini, a porre le basi di una garanzia paritaria dei livelli di assistenza delle prestazioni essenziali nel paese. Il tutto rafforzato da un significativo richiamo al principio dell’unità e della coesione sociale”.

Sull’Autonomia si fa ancora confusione, e il chiacchiericcio prevale sulla realpolitik. L’Italia a due velocità è un rischio palpabile, così come la distanza su alcuni temi all’interno di un centrodestra che attende la Finanziaria, la riorganizzazione della rete ospedaliera e le nomine nelle partecipate, all’inizio del prossimo anno, per regolare i conti. Il feeling di Lombardo con De Gasperi e il pensiero di sinistra, in alcune realtà territoriali, si è tramutato in accordi politici (in primis a Gela, dove il suo partito governa dichiaratamente con Pd e M5s). Per molto meno – il sostegno a un civico di area Pd a Trapani – l’assessore Turano era stato “minacciato” di esclusione dalla giunta regionale. Bisognerà capire quali sono le regole e per chi valgono. E se tutti potranno flirtare con tutti in vista del naturale riposizionamento per le prossime Regionali.

Nel frattempo pare che la ricandidatura di Schifani, la più ovvia, possa essere sbandierata ai quattro venti senza il rischio di dover tornare indietro. E’ un esercizio di stile per compiacerlo, neanche troppo convinto. Lagalla finge di non essere interessato, e utilizza la sua ars oratoria per cancellare i sospetti che si erano irrobustiti per via del feeling con Tajani e un pezzo romano di Forza Italia. Lombardo non deve sforzarsi nemmeno più di tanto, essendo reduce da due anni di rapporti tempestosi e poco lineari. Ne parla perché deve, ma è chiaro che ne farebbe volentieri a meno: “Se Renato Schifani, lo dico una volta per tutte, ma non per simpatia o per antipatia, vuole ricandidarsi, non può che essere il candidato di Forza Italia, dei partiti nazionali e di coloro i quali, noi in prima linea, lo abbiamo sostenuto due anni e mezzo fa con grande forza”. Due anni e mezzo fa, appunto.