Il video dell’altro giorno, quello in cui guida un carro funebre per ribadire la morte del M5s per mano di Conte, non è che uno spinoff. Beppe Grillo si è molto piaciuto in quegli otto minuti e 55 secondi di umorismo nero e graffiante. Al punto che è pronto ad annunciare per il 2025 un nuovo tour per teatri. L’ennesimo show. Solo che questa volta il garante userà il palco alla sua maniera: demolire l’ex premier e tutti quei figli ingrati che, dice, gli hanno voltato le spalle per un altro giro in Parlamento e che gli danno anche lezioni su quali siano i valori del Movimento che fondò con Gianroberto Casaleggio. Grillo ha 76 anni. E dice che vuole divertirsi, e incassare. E’ sicuro – al di là della ripetizione del voto online del fine settimana – che riuscirà a ottenere simbolo e nome, sfrattando Conte. Per farsene cosa ancora non lo sa.
Grillo si fida di Virginia Raggi, ex sindaca di Roma che gli ha messo a disposizione diversi avvocati romani esperti di diritto societario, ma non di Alessandro Di Battista. Che reputa uno molto bravo con le parole, ma poco propenso all’impegno e a prendere una decisione. O meglio per usare una perifrasi al posto di una parola molto usata nello slang giovanile: un millantatore di presunte capacità, virtù e successi. Dibba è neutrale e in equilibrio, nonostante l’associazione che ha fondato si chiami, ironia del caso, “Schierarsi”. Di Battista ha un contratto con La7 con la trasmissione “Dimartedì” di Giovanni Floris e pubblica i suoi libri con “PaperFirst”, la casa editrice del Fatto quotidiano. Grillo non fa affidamento su di lui. Chi conosce il Che Guevara di Roma nord sa che magari a ridosso delle elezioni proverà a scendere in campo, come indipendente, a sostegno forse di chi avrà vinto questa battaglia. Ma prima occorre che qualcuno la porti avanti.
Conte sa che il simbolo e il nome valgono sul mercato elettorale almeno 3 punti percentuali. Un piccolo consenso che per un partito che non se la passa benissimo è un appiglio da non mollare. Anche Grillo sa questo, ed è pronto a portarlo per tribunali pur di non farglielo più usare convinto che nelle matrioske di associazioni che si sono succedute sia la prima, quella che ha fondato, ad avere la meglio davanti a un giudice. Il suo essere fuori dagli schemi gli fa fare con gli amici commenti a briglia sciolta sui leader italiani e internazionali. Per esempio di Giorgia Meloni dice che “è tosta” e che “sa parlare agli italiani”, pur non condividendo certo molte politiche della premier. Non gli dispiacciono nemmeno Donald Trump e Javier Milei… Continua su ilfoglio.it