Riusciranno a far coesistere sullo stesso palco Schifani e Musumeci, che si lanciano accuse a giorni alterni; ospiteranno il segretario regionale della Lega e quello dell’Udc, il partito fantasma di Cesa; accoglieranno con tutti gli onori persino Marcello Caruso, il maggiordomo di Palazzo d’Orleans che sta provando a tenere insieme i resti di Forza Italia. Ma per il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, no, le porte rimarranno chiuse. Il nome dell’ex rettore non compare nell’iniziativa organizzata da Fratelli d’Italia al Teatro Jolly (di Palermo) per discutere dei primi due anni del governo Meloni.
Dalla locandina dell’evento, in programma questa mattina, non risultano neppure esponenti del Mpa, il partito di Raffaele Lombardo, fresco di accordo col sindaco e con Micciché. Evidentemente il PAP -acronimo di Partito Allargato dei Patrioti- non ammette altre presenze, benché istituzionali. Come se “quegli altri” appartenessero alla minoranza silenziosa dei non allineati. Capaci solo di contestare e mettere i bastoni fra le ruote: dall’Ast alla sanità. Neppure il vicesindaco Cannella, coordinatore di Fdi per la Sicilia Occidentale, ha valutato l’opportunità politica di concedere un invito a Lagalla. Una wild card di riconoscenza. Niente.
Schifani, invece, c’è eccome. Lui fa parte del giro dei paternesi, è fedele alleato del Balilla e di Galvagno, non si scompone di fronte ai soprusi della corrente turistica, né per le nomine calate dall’alto. Non dà fastidio. Ed è sempre traboccante di onori verso il presidente del Senato La Russa. Magari gli eviteranno l’incrocio con Musumeci, ma deve esserci. E’ l’emblema di un governo siciliano che viaggia a vele spiegate, mentre “quegli altri” lo rallentano.