L’ennesima prova del nove è stata miseramente fallita. Il governo non riesce a far votare un singolo provvedimento che non preveda l’erogazione di mance; mentre Sala d’Ercole continua a perdere tempo, risultando inesplicabile – stavamo per dire inutile – agli occhi dei siciliani. Tanto varrebbe chiuderla. Queste considerazioni non sono dettate dal peso (nullo) del disegno di legge sul riordino degli enti locali: avrebbe fatto comodo ai singoli parlamentari, garantendo il cumulo di qualche poltrona in più (con zero ricadute sul benessere finanziario dei comuni). Ma da un insieme di situazioni che continuano a riproporsi senza che il giovane presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno, riesca a porvi rimedio.

Schifani chiede di rinviare di un giorno la votazione del ddl anti-crack perché ha altri impegni? Signor sì, signore. Forza Italia si impunta per rimandare un provvedimento in commissione, dopo avere già sprecato due settimane in chiacchiere inutili? Signor sì, signore. Il M5s chiede un dibattito parlamentare sul turismo e sugli sprechi di SeeSicily? Aspettate un attimo… La conduzione dell’aula, in questi primi due anni di legislatura, è apparsa incerta. Ma ciò che è veramente intollerabile è la perdita di tempo per analizzare provvedimenti morti sul nascere: come nel caso della reintroduzione del voto diretto nelle ex province o dei molteplici tentativi di riproporre la sanatoria per le case costruite entro i 150 metri dal mare fra il 1976 e il 1983 (a breve ci riproveranno). O come nel caso degli enti locali: la prima discussione, avvenuta un paio di settimane fa, era bastata a capire l’inappropriatezza della legge. Troppe sfumature – sulle quote di genere, sul consigliere supplente, sul terzo mandato dei sindaci – che avrebbero finito per franare i partiti al loro interno. E così è stato.

Piuttosto che rimettersi alle decisioni dei ‘franchi tiratori’, si è preferito tornare in commissione Affari istituzionali, un binario morto, per poi spacchettare il provvedimento in tanti disegnini di legge e riproporli separatamente: ma nel frattempo si sono perse settimane per parlare del nulla. Anche perché in questa legislatura a trovare sbocco sono soltanto le ricche prebende e i cotillons, come avvenuto con la manovra-ter di luglio. Galvagno, dopo un avvio promettente, non ha saputo farsi interprete dei bisogni della Sicilia – centinaia disegni di legge giacciono nei cassetti – ma soprattutto fatica a condividere con il governo le priorità da affrontare. Il prossimo appuntamento, oltre al recepimento del piano-casa di Salvini (con l’aggiunta della mini-sanatoria, già rigettata un paio di volte) è la quarta finanziaria, che pesa sulle casse della Regione per 350 milioni. Profumo di mance?

Lo stesso Schifani ha scoperto le carte, mandando un messaggio chiaro: “Cercheremo di migliorarla ancora, ascoltando maggioranza e opposizione”. Anche perché lo Stato ha liberato fondi per 74 milioni, dovuti al maggiore gettito Irpef da parte della Sicilia. Soldi che si potrebbe decidere di impiegare sui capitoli più disparati: sono già previsti 42 milioni per la crisi agricola, 14 per le reti idriche e quasi 8 per il caro-voli. La cifra distintiva del governo, su cui il parlamento rischia di appiattirsi, è il clientelismo di massa: i contributi alle aziende, i ristori agli agricoltori e il bonus fieno del caso denotano l’assenza di visione strategica. La Regione è bravissima nel mettere toppe, anche se spesso non bastano neanche quelle (vedi siccità). E’ efficace nel liquidare piccioli alle imprese (l’Irfis potrà gestire altri venti milioni a valere sul Fondo Sicilia per proporre finanziamenti agevolati) senza però incidere sui processi di sviluppo. E’ il metodo Tamajo, che ne ha ricavato gran consenso.

Galvagno glielo lascia fare, perché evidentemente non è nelle condizioni di imprimere un cambio di passo, o di offrire un’agenda diversa, di respiro. Permette che l’Assemblea si schiacci sull’attività del governo, e tutti amici come prima. D’altronde il presidente della Regione è nelle grazie dei patrioti, appartiene allo stesso giro paternese, sostiene i metodi (talvolta arroganti) di Fratelli d’Italia nella gestione delle materie più delicate (turismo e beni culturali), condivide con loro le nomine della sanità e dei teatri. Non è nel suo miglior interesse inimicarselo. Ma così la Sicilia continua a perdere tempo e occasioni, e il governo non fa nulla per rimediare.

Al primo tentativo di riforma – se quella degli enti locali si può definire tale – tutti i problemi sono tornati a galla, e anche i prossimi provvedimenti (vedi Consorzi di Bonifica, o Forestali) sono a rischio. Il risultato è una stasi imbarazzante, contrassegnata da rancori, diktat, mal di pancia, minacce di voto segreto, travaso di parlamentari e alleanze “contro” che spuntano come funghi. Fino a quando non ricompare la parolina magica, Finanziaria, e ritorna il sereno. L’unica visione possibile è fare contenti i territori, spargere moneta, alimentare il consenso elettorale. E poco importa se là fuori si muore di caldo o di sete: il pozzo degli sprechi è sempre pieno.