Sulla crisi di Palermo – solo paventata – è calato il sipario in meno di una settimana. A Renato Schifani non è riuscito l’affondo, ai due renziani della giunta Lagalla è bastata una professione di ‘civismo’ per ingraziare la pillola a Forza Italia e salvare la pelle del sindaco, che rimane in piedi e rispedisce al mittente ogni rancore. Certo, non è finita sino al triplice fischio dell’arbitro: Schifani, infatti, proverà a premere sull’acceleratore per la privatizzazione dell’aeroporto Falcone-Borsellino, e ha già messo in campo la prima mossa, cioè la richiesta a Vito Riggio di ritirare le proprie dimissioni da amministratore delegato di Gesap. Anche se questa, per la verità, è una contro-mossa rispetto a ciò che è avvenuto a Roma: ovverosia il placet del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, alla conferma di Marco Betta come sovrintendente del Teatro Massimo.
Sono tante le partite aperte, e quella di Piazza Verdi è una di quelle che il presidente della Regione proprio non riesce a digerire. Tutti diranno, Lagalla per primo, che la condivisione sul nome di Betta è unanime: ma è chiaro come Schifani, per qualche mese, abbia perorato la causa di Andrea Peria, peraltro in uscita dall’Orchestra Sinfonica Siciliana, per una questione di incompatibilità. Poi s’è rassegnato alla conferma di Betta di fronte alla promessa di avere mani libere sulla Gesap e sul destino di Punta Raisi. Il puzzle si va componendo con il passare delle ore – ma che ne dicono i patrioti rimasti orfani di Beatrice Venezi? – anche se la vicenda del Massimo finirà per lasciargli l’amaro in bocca e un certo desiderio di rivalsa: a giocare un ruolo da intermediario prezioso per la conferma di Betta è stato, infatti, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, uno dei pochi di Forza Italia che Schifani non è riuscito a ‘murare’. L’ex direttore di Panorama, dopo aver chiesto invano un confronto coi vertici siciliani del partito, in un’intervista a Repubblica si era schierato a favore di un’apertura nei confronti di Lagalla. Ma Tajani in persona gli ha chiesto di non disturbare il Re.
Insomma per Schifani non è stata una settimana da ricordare e l’annuncio di una ennesima manovrina – dal valore di 350 milioni – non basterà a ridurre l’irritazione. Peraltro Faraone, che aveva scatenato la disputa sulla giunta palermitana, non ne vuol sapere di mollare la presa e ieri s’è recato in visita a una famiglia di Nicosia, in provincia di Enna, dove l’acqua arriva una volta a settimana: “A Schifani – ha scritto sui social il capogruppo alla Camera di Italia Viva – consiglierei di prendere la sua comoda auto blu e andare a trovare la signora Cinzia. Si faccia raccontare da lei e dalla sua famiglia come si vive da mesi con un recipiente da mille litri e l’acqua una volta a settimana. Naturalmente sempre che l’acqua non arrivi gialla e piena di terra, come spesso accade. Un piccolo appartamento invaso da bidoni pieni e cassette d’acqua minerale. Si schiodi dalla poltrona il Presidente della Regione, detto Marchese del Grillo, e faccia come ho fatto io, incontri i cittadini, capisca cosa vuol dire alzarsi la notte per lavare i vestiti, prima che l’erogazione venga interrotta. Magari si sveglierà dal lungo letargo”.
Il fronte dei fedelissimi del governatore, fin qui blindato, comincia a vacillare. I partigiani potrebbero venire a galla in aula, magari “mascherati” da franchi tiratori, quando si andrà a votare per il disegno di legge che riordina gli enti locali; o, chissà, proprio sulla manovra-quater (già, siamo già a quattro: questa prevede interventi anche per la siccità, oltre che per il caro-voli). Ma finito un ballo – quello di Palermo – eccone un altro: da Modica, sede della direzione regionale della Democrazia Cristiana, il partito di Totò Cuffaro ha reclamato il suo spazio. L’ha fatto con una premessa significativa: “Siamo il partito più leale col presidente della Regione, una lealtà di fatto ricambiata”, ha detto Cuffaro. Ma c’è un però: “La coalizione non sempre negli ultimi tempi ci ha rispettato, prima delle Europee c’è stato un ostracismo nei nostri confronti. Speriamo non avvenga più. Se dovesse accadere per le Politiche o le regionali, andremmo da soli ma non faremmo il bene della coalizione. Noi chiediamo con umiltà quel che ci spetta, ma quel che ci spetta credo sia giusto che ci venga riconosciuto”.
Nel corso dell’incontro in provincia di Ragusa è stata approvata con voto unanime una risoluzione che impegna Schifani a “valutare l’opportunità di una rivisitazione delle deleghe assessoriali all’interno della giunta regionali”. Molti l’hanno interpretata come una precisa richiesta di rimpasto. Anche se lo stesso Cuffaro ci ha subito tenuto a precisare che “rivisitare le deleghe non significa rimpasto, ma valutare la possibilità, se e quando il Presidente lo ritenesse opportuno, che la DC possa occuparsi di deleghe diverse dalle attuali”.
E’ comunque una richiesta che impone una riflessione e che allarga il ragionamento al resto delle forze politiche di centrodestra: alcune, come il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, si erano già pronunciate in tal senso, con la richiesta del secondo assessore. Mentre i “ribelli” di Forza Italia si erano risentiti per la nomina all’Economia del tecnico Alessandro Dagnino, senza tener conto delle esigenze di un gruppo parlamentare che è cresciuto fin troppo (adesso sono 14 i deputati all’Ars) per poter marciare in sincronia. Caruso, ovviamente, non potrà tenere sotto controllo i più riottosi, non potrà impedire di elaborare un pensiero o una critica in grado di stimolare il dibattito, talvolta inficiando l’infallibilità di Schifani. Non potrà evitare che Tamajo, in silenzio da un pezzo, metta pian piano giudizio. Il monopolio è impensabile. Magari ci sarà un momento in cui persino le opposizioni si sveglieranno, suggerendo soluzioni al governo e al parlamento. Altrimenti il letargo continuerà.