Esattamente come il Principe De Curtis, Totò era una maschera. La maschera prima struggente, spiritata, aggressiva; quella di Totò Schillaci che segnava a raffica, che incantò l’Italia nell’estate del 1990 con i gol delle notti magiche. La maschera suadente, social, sorridente dell’altro Totò. Quello con più capelli dell’Isola dei Famosi, di Quelli che il calcio, di Pechino Express, delle comparsate in discoteca. Del nuovo lavoro che s’era inventato a dispetto della sua timidezza dopo l’addio al calcio e le modeste avventure da imprenditore. Dietro la sua maschera Totò aveva tanti volti. Capace di grandi gesti di solidarietà, come la costruzione di un centro sportivo lì dove aveva iniziato la sua carriera, ma anche di gesti molto meno nobili, come quando nel novembre del 1990 durante una partita minacciò l’avversario, il bolognese Poli. “Ti faccio sparare”, gli disse. Senza precisare l’ora e il giorno. In quel preciso momento parte del calcio italiano gli chiuse le porte. Per sempre.
In questi giorni, dopo una morte annunciata (certi mali non danno grandi speranze) eppure per la maggioranza dei palermitani improvvisa, Palermo ha riscoperto un eroe lontano, amato per poche settimane, giusto il tempo di un Mondiale. Gli onori che sta ricevendo da morto Totò Schillaci non li ebbe mai a Palermo da vivo. Neppure dopo l’exploit al Mondiale del 1990, quando tutto il mondo parlava di Totò-gol. La grande festa per quel successo si tenne a Messina, città di adozione calcistica di Schillaci e non a Palermo. Allo Stadio “Celeste” in delirio Schillaci uscì dal sottopassaggio sulle note di “Adesso tu”, nel tripudio dei ventimila fans a cui aveva regalato decine di gol. Palermo non gli regalò mai un trionfo, se non quello immediato e popolano del suo quartiere, il Cep. In fondo Totò Schillaci era andato via a quattordici anni, aveva indossato la maglia dei “nemici” messinesi, perfino della Juventus, mai quella rosanero. Neppure i gol in azzurro riuscirono nell’impresa che oggi miracolosamente è riuscita a “sorella” morte. L’impresa di scollare dal volto di Totò la maschera, anzi le sue mille maschere, lasciando a nudo quello che in fondo – a Messina, Torino o in Giappone –Totò è sempre stato: un ragazzo di borgata. Di cui solo adesso la città di Palermo si è riappropriato.