Qualcosa sta accadendo in Sicilia. Qualcosa di misterioso, di eversivo, di risolutivo forse. E’ successo qualche giorno fa, c’è stato il minimo sindacale di ammuina politica, cosa di 24 ore, poi niente: la cosa sembra già dimenticata.
Ciò che è accaduto è che i bimbi Musumeci e Tusa hanno detto e scritto e sanzionato che il re del territorio siciliano, cioè il Soprintendente ai beni monumentali e ambientali, è nudo. E’ accaduto infatti che la giunta regionale abbia osato l’inosabile mettendo per iscritto che il potere di decidere sul territorio spetta alla politica e non alla burocrazia. E cioè che un progetto, un’opera, un pezzo di piano regolatore può essere approvato dalla giunta regionale anche in presenza di un potere contrario della Soprintendenza competente.
E’ una rivoluzione copernicana. O una controrivoluzione. E’ la fine dell’inappellabilità della casta delle soprintendenze che le ha rese per più di 50 anni poteri al di là del bene e del male. E infatti i soprintendenti, a seconda dei casi, icone del bene e del male, baluardo della protezione del bene comune o massacratori di territori delicati e pregiati e di ambienti stuprati. La politica aveva un solo potere: quello di nomina. Un potere abbastanza arbitrario, abbastanza ibero, abbastanza discutibile e disinvolto. Ma era l’unico. Una volta insediato e finché non veniva cacciato (ed è accaduto molto di rado) il Soprintendente era soggetto solo alla legge e la legge in quelle materie è sovente di libera interpretazione. C’era comunque prevalentemente una sorta di presunzione di santità per i soprintendenti contrapposta ad una presunzione di satanicità dei politici.
Ovviamente a volte accadeva il contrario ma sappiamo che in Italia i ruoli sono precostituiti ma non cristallizzati. Come la magistratura che di norma è santa quando arresta i cattivi o indaga i Salvini cattivi (ieri i Berlusconi cattivi) ma si trasforma in un mostro, strumento di un “nuovo regime” (cit. Saviano), quando mette ai domiciliari il sindaco di Riace.
Insomma, la giunta regionale ha infranto un soffitto di cristallo: invisibile ma inscalfibile. Non a caso Calogero Rizzuto, Soprintendente di Ragusa che ha ballato per una sola estate nella molto più prestigiosa sede di Siracusa (per essere tosto sostituito dall’architetto Donatella Aprile, previo cazziatone di Musumeci in persona al direttore dell’assessorato che non firmava la nomina) ha detto parole chiare sulla decisione della giunta: “Se la Regione non ha fiducia nei propri uffici periferici, allora che ci sopprima. Se non si ha fiducia in noi, lo ribadisco, ci chiudano: ce ne andremo alla Motorizzazione, al Genio civile, ma se dobbiamo fare il nostro lavoro ci si deve lasciare liberi di farlo, senza pressioni. Con tutto il rispetto per la politica, non sono esperti del settore: noi sì”.
Rizzuto è chiaro. Il soprintendente deve essere libero, non può essere strumento dell’esecutivo eletto dal popolo, ma è depositario di potere autonomo. Gli fa eco Orazio Micali, soprintendente di Messina, che specifica: “Non sono un costituzionalista, e mi potrei sbagliare, ma mi pare evidente sia in contraddizione con la Costituzione il cui l’articolo 9 recita che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Parole grosse in cui aleggia una tautologia fra “Repubblica” e “Soprintendente”. I soprintendenti hanno perso una battaglia o la guerra? E’ stato spezzato il monopolio di una casta o la politica siciliana ha espugnato l’ultimo fortino della cultura al servizio del territorio?