Forza Italia in Sicilia è un partito fortemente polarizzato, anche se in vista della festa nazionale di ottobre, in programma a Palermo, nessuno si sforza di mostrarlo. Né Renato Schifani, che sciorina valori di coesione (anche in seno alla sua maggioranza); tanto meno i dieci deputati dell’Ars, ritenuti incapaci di ricoprire incarichi di governo, ai quali il presidente della Regione continua a preferire – puntualmente – tecnici del proprio “feudo”. L’ultimo è Alessandro Dagnino all’Economia.
Ma c’è qualcosa che sta accadendo anche a livello nazionale, piccole scosse che rischiano di rottamare gli azzurri da qui alle prossime Politiche. Cambiamenti di fronte ai quali Schifani, Caruso e il loro cerchio ristretto potrebbero rimanere indietro. Nella sua nuova composizione, ispirata ai sacri valori della famiglia Berlusconi (specie degli eredi del Cav.) e alla possibilità che uno fra Pier Silvio e Marina scenda ufficialmente in campo, FI potrebbe diventare rappresentativo delle esigenze del Mezzogiorno. Ma non grazie alla spinta della Sicilia, che pure alle ultime Europee ha regalato al partito un 23 per cento di consensi (grazie all’aiutino fornito da Cuffaro e Lombardo), bensì della Calabria, che nel frattempo è divenuto unico avamposto di una serie di battaglie – a partire dall’autonomia differenziata – che non tangono nemmeno Schifani & Co.
Alcune indiscrezioni emergono da un articolo apparso sul Fatto quotidiano che, riprendendo un’esclusiva del Riformista (con tanto di nomi e cognomi favorevoli alla “restaurazione”), si sofferma su alcune vicende territoriali: “Non è strano che centrale sia di nuovo il Sud, dove ancora Forza Italia raggiunge la doppia cifra – si legge sul Fatto -. Il più ortodosso degli ortodossi, infatti, si vanta di essere il presidente della Calabria Roberto Occhiuto. Quando il 26 giugno è uscita la famosa intervista della primogenita di Silvio Berlusconi (“Sui diritti sto con la sinistra”), non si è nascosto e ha scritto su X: “Condivido pienamente le riflessioni di Marina Berlusconi. Di diritti civili e di pensiero liberale oggi il nostro Paese ha ancora più bisogno. Sono felice che questa fervida convinzione sia ancora viva e abbia sempre lo stesso nome”.
Occhiuto è il principale avversario di Schifani su molte vicende. Anche se tutto parte da lontano, ossia dalla candidatura del governatore della Calabria al ruolo di vicesegretario nazionale, poi ottenuto durante il congresso di febbraio. Una posizione che Schifani avrebbe voluto fortemente ricoprire: dopo aver valutato l’impraticabilità della proposta, per il niet di Tajani, re Renato ha cominciato però a mettere i bastoni fra le ruote di Occhiuto, ritenendo che un presidente di Regione non avesse il tempo per concentrarsi nell’esercizio di un ruolo così delicato (mica come il suo, da presidente del consiglio nazionale del partito). Lo scontro sotterraneo è proseguito – ad esempio, c’è un grosso braccio di ferro sulla Cardiochirurgia pediatrica di Taormina, che rimarrà all’ospedale San Vincenzo fino al luglio ’25, poi basta proroghe – fino alle conclusioni odierne.
Occhiuto, al netto di un’esperienza politica già decennale, è il nuovo che avanza: rappresenta un argine al potere delle destre e all’autonomia differenziata. In questo nuovo modello, per Schifani non sembra esserci posto. Mentre l’asse di Forza Italia si sposta verso i diritti, cioè a debita distanza della Meloni, Schifani resta sopratutto l’uomo arrivato a Palazzo d’Orleans su indicazione dei patrioti, in particolare di La Russa. Sull’autonomia di Calderoli ha lasciato fare, solo sullo Ius Scholae si è accodato con un guizzo d’orgoglio alle posizioni del segretario Tajani, con cui prova a fare l’amico dopo un periodo di tensioni non trascurabili: “Anche se lo Ius Scholae non fa parte del programma di governo – ha detto qualche giorno fa il governatore siciliano – io sto con Tajani, anche perché sui temi dei diritti Berlusconi ha sempre lasciato libertà di scelta ai parlamentari. Non vedo il motivo – e lo sostengo da sempre – per cui un bambino non possa ottenere la cittadinanza italiana se ha completato un ciclo di studi da noi e conosce la nostra Costituzione”.
Una posizione un po’ tardiva, rischiosa (per la reazione scomposta di Salvini e in parte della Meloni) e che comunque non basta a consolidare la posizione di Schifani agli occhi della famiglia Berlusconi. Che vorrebbe, in un futuro non troppo lontano, volti nuovi e profili capaci. Ci si è già affidati alla carica di Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera dei Deputati e pungolo costante rispetto alle decisioni del governa a guida Fratelli d’Italia-Lega (Mulè, fra l’altro, non ha risparmiato critiche sulla gestione della campagna elettorale siciliana da parte del presidente e del suo allievo, Edy Tamajo). Della Forza Italia 3.0 farebbero parte, secondo il Riformista, anche Debora Bergamini (già consulente di Berlusconi per la comunicazione), Paolo Emilio Russo (ex giornalista di Libero), il sottosegretario Alberto Barachini, l’ex sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo. E anche Licia Ronzulli, Adriano Galliani – che proprio nuovi non sono – e il leader dei giovani Simone Leoni.
Chi non traspare in alcuna cronaca è però Edy Tamajo, il ras di Mondello. Certo, far filtrare il suo nome dopo la parziale “scomunica” del collegio dei probiviri, non sarebbe una pubblicità favorevole. Ma la sospensione (poi stoppata) di 20 giorni per aver condiviso il pensiero del consigliere Ottavio Zacco, contro i presunti deputati-camerieri, è acqua passata. A Mister Preferenze servirebbe come il pane mezza possibilità di riposizionamento, ma per il momento si accontenta di finire in posa con Schifani per la festa dell’Assunta o di vigilare da vicino sulle spese dell’Irfis che imbottiscono di piccioli le imprese. Dall’alto dello scranno alle Attività produttive, Tamajo continua a giocare la sua partita, ma prima o poi dovrà liberarsi dell’abbraccio del presidente della Regione: che prima ha contribuito a fargli perdere il seggio all’Europarlamento, concedendo il lasciapassare a Caterina Chinnici (altrimenti chi lo sente Tajani…); poi gli ha impedito di scalare le gerarchie del governo, privandolo dell’assessorato alla Salute. Continua a marcarlo a uomo per evitare che lo surclassi. Ma c’è un mondo, fuori dal cerchio dei rancori di Schifani, che va avanti. Qualcuno dei tamajani l’ha già capito.