La crisi dell’editoria – una crisi che coinvolge tutto il mondo dell’informazione – crea scompiglio anche tra i leccaculisti più salivosi e arrugginiti. Soprattutto in Sicilia. Molti di quelli che facevano da megafono al potere costituito e puntualmente offrivano al presidente Schifani tutti i francobollini che l’ufficio stampa di Palazzo d’Orleans chiedeva – o pretendeva – si sono in parte ricreduti. Forse perché i lettori non li seguivano più. E si sono attestati su una tonalità leggermente più critica. Da ex ignavi o ex indifferenti, ora denunciano abusi e storture del governo; danno spazio ai problemi e alle delusioni della gente; e commentano persino – con insperati sprazzi di coraggio – le malefatte dei gerarchi e dei santoni della politica. Pur mantenendo, va da sé, un occhio di riguardo verso quei pagnottisti che – maneggiando festival, festini e concerti – conservano comunque il potere obliquo di allungare una “millelire” di pubblicità.
Questo dettaglio spiega ad esempio la sudditanza che certe anime belle del giornalismo, pur sempre tronfie di moralismo e antimafia, ancora dimostrano per la corrente turistica di Fratelli d’Italia. O per il Balilla in persona, autore del più colossale spreco di denaro pubblico – si parla di oltre venti milioni di euro – architettato in nome della “comunicazione”: cioè di una montagna di soldi distribuita ai network nazionali ma anche ai giornali locali e alle clientele sparse nel territorio. Un regalo multiplo e mastodontico che in cambio ha garantito – alla corrente patriottica e al suo capo diretto – un supporto mediatico enorme da parte delle testate che con quelle somme hanno risollevato i propri bilanci. Un supporto che, per un pronto accomodo, ha consentito al Balilla di bruciare le tappe di una incontenibile e folgorante carriera.
La lenta e faticosa metamorfosi degli ex ignavi verso un giornalismo certamente più critico e indipendente – ah, l’epica della schiena dritta – si deve anche al fatto che sul palcoscenico dell’informazione, chiamiamolo così, si muovono da un po’ di tempo alcuni leccaculisti molto più aggressivi e molto più spregiudicati. Con i quali un giornale onesto difficilmente può competere. E’ gente per la quale tutto ha un prezzo. Fanno un’intervista e in cambio chiedono all’assessore di fare in modo che il consorzio, o l’ente pubblico che è sotto la sua tutela, affidi in via privata al boss della cricca – che si spaccia per editore – un appaltino o un incarico. E l’assessore o il potente di turno cede. Perché i consigli di questi leccaculisti sono di quelli che non si possono rifiutare. Sono consigli untuosi, nebbiosi, opachi. Pensate che comincia ad accettarli persino la Regione feudale di Sicilia. Il Viceré, la zarina e i tre vassalli del regno hanno capito che la gran parte degli ex ignavi non crede più alle versioni ufficiali contenute nei dispacci di Palazzo d’Orleans. E, per un incontenibile bisogno di narcisismo, hanno ceduto al corteggiamento degli ultimi leccaculisti rimasti sul palcoscenico dell’informazione. Quelli che hanno messo a reddito la lingua salivosa, l’inchino e la genuflessione; quelli che hanno monetizzato il giornalismo; quelli che fanno le interviste solo se li paghi con l’appaltino o l’affidamento di un incarico ben remunerato al boss della cricca, ovviamente travestito da editore. E’ la brutta stampa, bellezza!