Forse per gli operai dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, passati a Blutec, c’è ancora vita (dopo dodici anni di cassa integrazione). Grazie a un finanziamento da trenta milioni garantito dalla riprogrammazione del Piano per l’occupabilità della Regione siciliana (a valere sul Fondo Sociale Europeo), 183 persone saranno accompagnate al prepensionamento, scongiurando il rischio del licenziamento collettivo. Gli altri, i colleghi più “abili” e “giovani”, saranno invece assorbiti dal gruppo Pelligra, che qualche settimana fa si è aggiudicato il ramo d’azienda che dal 2019 versava in amministrazione straordinaria. Il complesso industriale è finito sull’orlo del precipizio dopo l’abbandono di Fca (Fiat Chrysler), all’epoca diretta da Sergio Marchionne, nel 2011, e il subentro, dal 2014, di Blutec, vale a dire una società fornitrice di Fiat per le componenti automobilistiche.

Per quasi quindici anni Termini è stata una mangiatoia di speranze, illusioni e fondi pubblici. E tuttora, nonostante le prospettive dei lavoratori (altri 350 saranno contrattualizzati da Pelligra, che riveste attualmente – anche – l’incarico di presidente del Catania), il finale della storia è lontano dallo scriversi. E’ il classico esempio in cui ci sono i lavoratori e manca il lavoro. L’assegnazione a Pelligra, tuttavia, è foriero di buone nuove: il progetto di rilancio del sito prevede la riqualificazione della zona industriale, il potenziamento del porto e lo sviluppo di un interporto integrato all’area. Pelligra Holding Italia srl, come riferito anche dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha proposto, in particolare, un progetto di riconversione immobiliare al fine di creare un distretto industriale ad alta tecnologia da destinare a uso misto: commerciale e manifatturiero.

Bisognerà arrivarci. Nel frattempo Schifani e Tamajo, in pieno stile “annunci” (è già accaduto con gli Asu, i Pip e altri precari), non vedevano l’ora di comunicare la notizia. L’investimento da 30 milioni chiude “definitivamente una storia carica di incertezze per i lavoratori dello stabilimento e per le loro famiglie che non vivranno più con lo spettro della disoccupazione e della precarietà. Comincia una nuova era per Termini Imerese”, ha detto Schifani. La soluzione individuata, e condivisa da tutte le parti coinvolte, prevede il ricorso all’isopensione (un’uscita dal lavoro con 7 anni d’anticipo) per i 183 lavoratori che il piano industriale del gruppo Pelligra, aggiudicatario del bando per la riconversione dello stabilimento, considera “in eccedenza”, mentre i restanti 350 saranno assunti con l’impegno della Regione a supportare la loro riqualificazione.

“Sono abituato a lavorare in silenzio, lontano da riflettori e clamori, con spirito di abnegazione fino al raggiungimento dell’obiettivo – ha aggiunto il presidente della Regione -. Oggi possiamo dire di avere invertito la rotta: abbiamo trovato l’area industriale di Termini Imerese abbandonata a se stessa, sommersa da false promesse e da prospettive di degrado, abbiamo lavorato per trovare una soluzione vera e adesso, finalmente, c’è un gruppo industriale intenzionato a rilanciare il sito stimolando la crescita economica dell’intera area e, risultato altrettanto importante, abbiamo garantito un futuro a tutti i lavoratori”.

Nella sua nota carica di belle speranze e prospettive felici, Schifani ha ringraziato il ministro Adolfo Urso e l’assessore alle Attività produttive Edy Tamajo, con il quale, nell’ultimo periodo, non sono state tutte rose e fiori. E neanche Termini Imerese ha vissuto bei momenti. La sua costruzione era iniziata nel 1967 grazie a una joint venture tra la Fiat, spinta dal vulcanico Mimì La Cavera (apprezzatissimo dalla famiglia Agnelli) e il Governo italiano con il tramite della Regione (socia al 40%). Inizialmente lavoravano nel sito 350 dipendenti. La Fiat diventerà unico proprietario dieci anni dopo, arrivando a impiegare 1.500 unità. La forza lavoro cresce esponenzialmente negli anni ’80, quando gli operai impiegati a Termini diventano 3.200.

Ma a metà degli anni ’90 a Termini sopraggiunge la crisi. Sergio Marchionne, nel 2009, sospende la produzione. Lo stabilimento registra un progressivo disimpegno da parte del gruppo Fiat e la comparsa di improbabili avventurieri che nel 2014, correva il mese di dicembre, si palesano con Roberto Ginatta, patron di Blutec. Si tratta di un’azienda fornitrice della stessa Fiat, il cui piano industriale si snodava in due fasi: prima la componentistica, poi le auto ibride. In Sicilia si sarebbe dovuto produrre il primo modello di “Fiat Doblò” elettrico, come si legge nei verbali dell’inchiesta che ha portato l’azienda di Rivoli in amministrazione straordinaria. “Ad oggi non è stato ancora prodotto un mezzo Doblò elettrificato da Termini Imerese, nonostante siano stati creati alcuni prototipi. Attualmente il progetto è sospeso”, spiegava in un interrogatorio del 19 giugno 2019 Monica Genovese, responsabile degli acquisti per la regione Ema del gruppo Fca.

Fca e Blutec cominciano a strutturare il contratto tre anni dopo l’arrivo di Ginatta, cioè nel 2018. Ma la fine è dietro l’angolo: i 16,5 milioni messi a disposizione di Invitalia per avviare un piano di sviluppo, risultano ghiotti alla vista dell’imprenditore, che li utilizza per altre attività di natura imprenditoriale e speculativa, con l’accusa di riciclaggio e bancarotta fraudolenta (e per questo viene condannato a 7 anni di carcere in primo grado, con la confisca del patrimonio). Inoltre, poco prima dell’arresto del manager piemontese, nel marzo 2019, fallisce miseramente un tentativo di cessione al gruppo cinese Jiayuan.

Ma di tentativi, con la regia di Invitalia, ce n’erano stati tanti. Tutti fallimentari. Per garantire i primi dieci anni di cassa integrazione- i conti erano stati aggiornati nel 2020 da Alessandro Albanese, all’epoca vicepresidente vicario di Sicindustria – erano stati spesi oltre 100 milioni. Sembrava questo l’unico interesse da tutelare. Oggi si riparte da Pelligra, è vero, ma anche dalla conferma di ulteriori trenta milioncini per accompagnare gli ex lavoratori al pensionamento. Finché non vedremo gli altri 350 (lavoratori) su una particolare linea produttiva, rimarrà il dubbio dell’eterna incompiuta.